Finalmente, dopo tre giorni, ho trovato la Grecia che ho sempre conosciuto, che mi aspettavo. Con tutti questi complessi turistici, con Heraklion e le mille città che non hanno a che vedere con la Grecia, avevo smarrito l’identità della Grecia stessa.
Non sono contro il turismo ma almeno che sia preservata la genuinità dei posti, delle tradizioni, dell’autenticità dello spirito di una nazione, che non deve essere intaccata dalla globalizzazione.
Con un ventaccio ci siamo lasciati alle spalle la città. La direzione era verso sud; non abbiamo nemmeno dovuto trafficare con la tangenziale per uscire nella direzione giusta. Dopo una manciata di chilometri eravamo già fuori dall’agglomerato asfissiante della capitale.
Il cielo azzurro ci invitava a correre sull’asfalto liscio, le carreggiate erano sovradimensionate in larghezza. Abbiamo fatto una piccolissima sosta nel paese di Siva, un angolo remoto di quattro case in mezzo alle dolci colline appena fuori Heraklio. Ho pensato davvero che il tempo si fosse fermato in quell’unica via, lungo la quale si snodava il paese.
Siamo entrati di nuovo in autostrada. Abbiamo scavallato il passo e poi giù via a velocità sostenuta. Era un piacere guidare, il paesaggio era perfettamente naturale. Ci siamo fermati in un altro paesino, a Petrokefali, leggermente più strutturato del precedente, con una piazzetta semipedonale. Vecchi dai capelli ancora neri ci guardavano come se fossimo animali dentro lo zoo. La piazzetta della chiesa emanava un biancore da far bruciare gli occhi. La Grecia, la vera Grecia, senza gli stereotipi della vita moderna. Mi sarei fermato ben volentieri e sedermi sulle sedie di paglia, accanto a uno di quei vecchi, tanto io lo ero di più, coi capelli bianchi che ho.
E infine ci siamo fermati a Matala, un luogo che più turistico di così non si poteva, ma era preservato, le casette bianche, linde, senza ecomostri a fendere l’armonia del luogo, questa baia in cui il mare turchese e la roccia porosa erano il biglietto da visita.
Volevamo vedere la spiaggia rossa ma Mater aveva le zeppe rosa, non ha voluto mettere le scarpe da ginnastica. Così arrivati sulla collina, percorrendo almeno un chilometro in completa salita, ho rinunciato a scendere. Tanto dall’alto la si vedeva benissimo. Mater come una capretta cretese si arrampicava che era un piacere. Ho temuto che in qualche occasione ruzzolasse giù al paesello ma era più in gamba di me…
Dopo un bagno rigeneratore nelle acque turchesi della baia, un gelato, il picnic consumato sempre in prossimità di una chiesa, precisamente quella di Pitsidia e dopo aver sfamato due gattini fifoni, siamo tornati indietro.
Il lago di Votomos a Zaros è stato il posto più idilliaco, più bello, più genuino che ho visto fin’ora. Talmente bello che il luogo era preservato come patrimonio dell’Unesco. Il laghetto verdissimo, come quello di Braies, piccolissimo, la metà del Segrino, era una meraviglia.
Non volevo più venire via da un posto talmente fresco e rigenerante. Non sembrava nemmeno di essere a Creta.