Il giorno della partenza era così limpido e terso nonostante i trentasei gradi. Un cielo perfettamente blu che solo la Lombardia (in rari momenti) sa dare. Le nuvolettine annegate nell’azzurro erano buffe, sembravano sbuffi capitati lì per caso.

Al bancone Air France di Malpensa, la bionda guarda e riguarda il monitor. Mette la mano sul mento, poi inizia a tamburellare con le dita dell’altra. Panico. “Scusi ci sono problemi?” Mi si avvicina, avvilita, sussurrandomi come se provasse vergogna: “Ma dove si trova?”

Le offro un ampio sorriso, canzonandola: “Ma Dzaoudzi è Francia!”.

“Ah! Capisco ora perché non trovo le normative sul Covid”, poco convinta e per niente afferrante la mia presa in giro. E io, rigirando il coltello nella piaga: “Ma certo è Europa!…”, e aggiungo subito dopo: “anche se si trova tra il Mozambico e il Madagascar”.

“Ecco!” mi restituisce un sorriso altrettanto ampio. Le si illumina la mente, sento che il suo Google Maps mentale si è collegato al satellite. Si sente in dovere di dire: “Ma giuro che non ho mai sentito questa località!”

Ok, ora che ti sei giustificata, dammi la carta di imbarco!

L’aereo Air France è in ritardo mi butta lì così senza badare a quello che ha detto. Incomincio a scagliare fulmini e saette. Immediatamente, come in una serie di CSI che si rispetti, nei siti di Flightradar24 e FlightAware, rintraccio l’aereo ancora fermo in qualche piazzola del Charles De Gaulle. Partono le madonne. Ma come fa a essere un’ora di ritardo quando il volo stesso dura un’ora? Inizio un esercizio zen e di auto-respiro. Abbiamo due ore e mezzo a Parigi per il cambio tra un aereo e l’altro, se già una ce la fregano… Cerco di stare calmo, respiro profondamente. Mi viene voglia di ingozzarmi di gelato, sarei capace di mettere la bocca sotto la fontanella di cioccolata liquida nel negozio Cioccolati italiani. Un’ora e 10 minuti di ritardo e partiamo dalla Malpensa!

Un Airbus 220, vecchissimo, bianchissimo, col vecchio logo della compagnia, l’ippocampo, si stacca dalla pista e punta dritto verso il Monte Bianco. Il comandante ce lo dice con voce commossa: “Guardatelo sulla vostra sinistra”. Ma senti, signor comandante dei miei stivali, pensa di arrivare il prima possibile a Parigi…

Sull’aereo trasmetto tutta l’ansia alle hostess: io devo prendere l’aereo per Nairobi, e non mi interessa nulla di quello che succede su questo volo in ritardissimo. Mais ouì, Nairobì… Con l’accento sull’ultima “i”. Io lo sbiascico con il dittongo ben aperto N-AAAAI-robi, col rischio di ingoiare una mosca…. E voi con le labbra arricciate fate sentire quell’accento sull’ultima lettera!!! Ho iniziato a provare un sano odio per i francesi. Però ho ottenuto il mio scopo.

L’annuncio finale appena attraccati al gate: “Prego rimanete seduti, i passeggeri per Nairobi sono pregati di portarsi verso l’uscita anteriore”. Siamo io e mia madre. Percorro tutta la fusoliera come se passassi sotto l’Arco di Trionfo e gli Champs Élysée, e sento gli sbuffi di stizza di quelli che ci guardano: ‘anvedi che sfigati. Li sfido con un occhiatacce, mi trattengo nel non fare le linguacce. Vedete, io e mater! Very important people. Nous, nous douvron aller a Nairobì…

Appena uscito dal portellone, dopo la marcia trionfale, manco fossi chissà chi, scattano i due chilometri in cinque minuti. Mater che parte in testa, la Orly Marathon per la conquista del gate K35. Su e giù dalle scale mobili e tappeti mobili non funzionanti. L’aeroporto è mezzo spento. Qualcuno evidentemente non ha pagato la bolletta, ed era questo il motivo per cui l’aereo era arrivato tardi. Siamo trafelati al gate di partenza, con la lingua sotto i piedi e la saturazione al di sotto di certi valori pericolosissimi, grondando di sudore. C’è l’universo intero. Dai Mater, saltiamo la fila. She’s senior, lo dico con occhioni lacrimevoli. Eightythree year old, nineteenthrtynine. Volevo aggiungere anche le parole “Un po’ rinco” ma me lo tengo per me. Stessa strategia usata alla Malpensa. Facciamo breccia nel nerboruto steward e ci fa passare. Ecco, queste sì che sono soddisfazioni… E saliamo, tempo di sistemare i bagagli, che nel giro di 10 minuti si parte, così senza preavviso nel tramonto della sera parigina…