Il volo, durato 6 ore precise precise, è filato via liscio… Noiosetto. Per fortuna che a tirare su l’atmosfera, c’erano i due deficientelli argentini, che erano dietro di me. Hanno tracannato birra dall’Istria a Muscat. Ininterrottamente. Erano talmente ciuchi marnati che sono riusciti a rovesciare una lattina di birra sul sedile accanto a quello di Mater. Lo sfigato filippino che lo occupava era momentaneamente in bagno in quel momento altrimenti lo avrebbero lavato. Se avessero sfiorato con una sola goccia di birra Mater, giuro che li avrei fatti paracadutare direttamente in Quatar a calci nel sedere. Così potevano vedere la loro squadra del cuore. Comunque quelli dell’Oman Air non si sono scomposti. Hanno cambiato il cuscino della poltrona e steso una coperta doppia sul sedile.

Dal finestrino del boeing 787 non sono riuscito a vedere nulla. Ho intravisto soltanto le luci di Bagdad, di Kuwait city e una delle due palme di Dubai, riconoscibilissima nonostante la fotografia pessima.

Siamo arrivati proprio nel bel mezzo di certe nuvolaglie che oscuravano il sole appena sorto. In poco tempo è calata una nebbia e l’universo si è tinto di rosa. L’aereo non aveva voglia di atterrare. Abbiamo mancato la pista e fatto un bel giro sopra le montagne della capitale in attesa che il tempo cambiasse. In realtà la visibilità, tutto sommato, era buona ma le quattro gocce nel deserto evidentemente spaventavano il pilota dell’aereo.

Le formalità in aeroporto sono state sbrigate velocissimamente. Neanche 10 minuti, compreso il ritiro delle valigie, che eravamo fuori. Il mio nome stampato su un A4 era appeso alla cordonatura che delimitava il varco delle uscite. Insomma, potevano scriverlo a mano, potevano aggiungerci un cuoricino, oppure chessò la scritta Welcome to Oman…

Allo Sheraton ci hanno dato la stanza senza sovrapprezzo e dopo aver lasciato le valigie ci siamo buttati nelle vie deserte di Muscat. Un tassista ci ha fatto una proposta allettante, in realtà se avessi insistito, avremmo pagato meno della metà del prezzo propostoci ma ero un po’ rintro e non riuscivo a fare i conti. Il tassista, un omone di età indefinita, si è offerto a portarci al primo bancomat disponibile, poi fino alla grande moschea, aspettarci e portarci poi al souq di Mascate, quello considerato un po’ il centro, anche se in questa città non c’è un centro vero e proprio. Ho accettato ma la ricrescita della barba colorata di nero era inguardabile. Già è fastidiosa vederla nelle donne… E così siamo saliti sul taxi puzzolentissimo ma con la scritta in bella mostra Sheraton…

Già stavo iniziando a provare un prurito verso la città, spersa tra le montagnucole appuntite, allungata per necessità verso ovest. Vialoni larghissimi, vuoti, palazzi distanziati tra loro. Insomma non ci vedevo nessuna caratteristica peculiare, come un uomo sciatto senza personalità.

Però… già, però la grande moschea era bellissima. Certo, nuova ma esattamente inquadrata in un disegno geometrico di proporzioni da togliere il fiato. E i marmi… perfettamente levigati e lucidi. Mi sono perso sotto le arcate, ho ammirato gli arabeschi delle maioliche, i tappeti, i fiori grati per le abbondanti annaffiature, ho ascoltato i cinguettii degli uccellini che avevano trovato un paradiso e acqua in abbondanza.

Mater si è infoulardata per bene, era restia a togliersi le scarpe: temeva che gliele portassero via se le avesse lasciate nelle rastrelliere. Un’ora senza fretta, il tempo incerto è diventato sereno e il bagliore del marmo splendeva con prepotenza.

Il tassista barbuto con la ricrescita, pacioccone, svaccato su un marmo, ci aspettava placidamente. Io che provavo un po’ di repulsione, soprattutto nell’entrare di nuovo nel taxi… Così come da accordi, dopo una decina di chilometri, ci ha rovesciati un po’ bruscamente davanti al Souq… Era completamente allagato, tutti che cercavano di togliere le pozze di acqua. Per cui non ci hanno importunato molto… Siamo sbucati sul lungo mare, un po’ trasendo, lasciato andare, in attesa di un restauro per il piacere dei turisti. Io sono salito sul forte di Matrah, una torretta in cima ad una montagnola. Mater l’ho parcheggiata davanti al gabbiotto dei ticket. Io ho arrancato su per i mille gradini della scalinata di pietra fino al punto più in alto da dove si poteva osservare tutto il quartiere… Con la lingua a penzoloni, sono arrivato tutto sudato e parzialmente cotto dal sole. Mi sono fatto un selfie contornato da una cornice rivolta verso il mare.

Recuperata Mater, coraggiosamente ci siamo fatti i quattro chilometri a piedi, sotto il sole che picchiava di brutto, fino allo Sheraton ma almeno abbiamo passato tutto il pomeriggio. Abbiamo fatto tante soste, ci fermavamo sotto ad ogni albero a rinfrescarci dal venticello che spirava dal mare. Ci siamo pure fermati a mangiucchiare qualcosa e a bere succhi di frutta.

Una volta allo Sheraton, ho obbligato Mater a stare fuori, perché se fosse andata in camera, non l’avrei più svegliata. Così si è spiaggiata a bordo piscina, sotto a palmizi rinsecchiti e ha iniziato a ronfare per due ore… Ma ormai la giornata volgeva al termine…