Di fatto la giornata è una fotocopia della domenica. Il ferragosto, nonostante il martedì, è giorno di festa. Per cui di nuovo alla cattedrale di San Francesco. Mater si era tanto raccomandata di portarla, perché doveva partecipare alla messa. Come potevi dire di no?
Il percorso sulla statale sembra migliore, ovviamente non c’è in giro nessuno. Le due corsie sono libere. Resistono i posti dove vendono la frutta. Le caprette sono scappate anche loro. Potrei pigiare sull’accelleratore ma i semafori, ovviamente tutti rossi, mi smorzano ogni entusiasmo di guida sportiva. Mi adeguo, almeno non ci sono altre auto che mi irritano.
La stessa basilica, le stesse persone e gli stessi preti. Nella celebrazione del ferragosto ogni cosa è identica alla precedente messa . Anche qui il prete ad un certo punto ci chiede da dove venissimo. Da bravo scolaro diligente prontamente alzo la mano, non appena chiede se per caso ci siano degli italiani. Questa volta Mater non si lascia prendere alla sprovvista e alza anche lei la mano. Finita la messa, Mater è dispiaciuta. Vorrebbe attardarsi coi preti, con le persone. Ma tutti si dileguano in pochi secondi. La sacrestia viene chiusa con mandate di chiavi. Dianime! Pensavo che la celebrazione eucaristica fosse un momento di aggregazone. In tutte le chiese del mondo gli officianti si fermano sul sagrato per salutare tutti ma evidentemente hanno fretta di andare a casa.
Non mi facco mancare neanche questa volta un giro nella città di Rodi. Parcheggio in piazza Cipro, vicinissimo alla Porta Libertà, dove inizia la città vecchia. Nella piazza si sono le maggiori banche del paese. Iniziano i viali della città nuova, tutti ordinati, costeggiati da filari di alberi. Mi chiedo perché a Como non possiamo vivere una città così curata come Rodi. Faccio lo slalom tra i tavoli di diverse trattorie e mi ritrovo dentro le mura, in un attimo senza accorgermi. I turisti si assiepano davanti al palazzo dei Cavalieri ma proseguo dritto. Mi viene a mancare il fiato. Ma tutti qui in città devono stare?
Il vento ogni tanto ti rinfresca, solo che non è costante. Dopo alcune folate magari l’aria ristagna per minuti interminabili. E speri che ti arrivi una ventata o almeno un refolo di vento. Nel massimo della calura, decidiamo di tornare altrimenti rischiamo di non mangiare in albergo. Speravo di trovare la statale sgombra, invece no, è una via crucis. Tutti in giro, pure grossi autoarticolati. Rimaniamo incolonnati ai semafori che non sono per niente intelligenti. Mi viene una crisi isterica ma riesco a sedarla sul nascere. Tanto è inutile. Un’ora di inferno prima di buttarsi nella mischia del buffet, con quel poco lasciato dalle orde di persone prima di noi.
Essendo l’ultimo giorno, non ho voglia di spiaggiarmi. Decido in gran segreto di fare una scappatina di nuovo a Lindos. Al diavolo il caldo e tutto il resto. Mater deve comprare le ultime cose, e questa volta siamo io e lei. Finalmente si sente libera di attardarsi nei negozietti, si mette di impegno a provarsi i vestiti, controlla tutte le bigiotterie. Io cerco i gatti, li saluto uno per uno, anche se non ricevo altrettanto interesse. Anzi per lo più i miei versi vengono lasciati cadere nel vuoto. Vado dagli asinelli. La stalla, insomma l’area di sosta è completamente vuota. Ho un tuffo al cuore. No… Nemmeno i ciuchi posso salutare. Ma fa niente. L’accoglienza di Lindos è commovente, è calda, in tutti i sensi. Non ci tornerò mai più, lo so dentro di me. Per cui mi soffermo a guardare il cielo azzurro, l’intonaco bianco, le bouganville rosse. Goditi Carletto, questa grecità ferragostana che non tornerà più indietro.
La sera Mater, dopo lo spettacolo quotidiano, si butta sugli animatori, si fa abbracciare, coccolare. Dispensa parole mielose a ciascuno, si vede che è emozionata. Life goes on…