L’aeroporto di Aruba è piccolo ed è composto da due terminal, il primo adibito per le partenze verso gli Stati Uniti, il secondo verso tutti gli altri stati del mondo. Talmente piccolo che i mastodontici aerei, gli airbus, quando sono vicini al terminal, sembra che entrino dentro. Il volo del rientro è stato in orario, senza problemi. In questo caso la rotta per Amsterdam prevedeva uno scalo.
Bonaire che è una delle tre isole che compongono l’arcipelago delle ex Antille Olandesi, le Isole Sottovento, perché non ci arrivano gli alisei, è la B delle ABC islands (le altre Aruba e Curacao) e dista circa 200 chilometri da Aruba. Il volo è stato di 20 minuti. Peccato averlo fatto praticamente al buio perché il sole era da poco tramontato.
Mi sono illuso che accanto a me non ci fosse nessuno perché il posto era libero prima dello scalo. Purtroppo, una volta pronto l’aereo all’aeroporto di Kralendijk, è salita ‘sta vecchia babbiona di 75 anni, tutta svampita, coi capelli colorati di un mogano scuro. Coperta solamente da un prendisole verde. Direttamente dalla spiaggia. Si è piazzata accanto a me e non mi ha più lasciato dormire. Ha iniziato a parlare fitto fitto in olandese con una signora di fronte, si è mossa tutta la notte cercando di coprirsi con la copertina della KLM grande quando come un francobollo, mi dava delle gomitate direttamente sulle coste. Gliele avrei staccate quelle braccia. Ha guardato per tutto il tempo il telefono nelle quali c’erano collezioni intere di foto selfie e non della suddetta babbiona in tutte le pose. Un disastro. Dieci ore di incubo e di disastro.
Ad Amsterdam, miracolosamente arrivati alle 11, ovviamente il tempo era di un grigino topo, pioggerellina sui verdissimi prati di Schipol. Appena ho avuto la possibilità di scendere, ho percorso tutto il terminal di corsa. Dovevo sgranchirmi le game e andare via il più lontano via da lei. Il controllo passaporto è stato leggermente più veloce. Non me l’hanno nemmeno guardato, meglio così. Arrivo allo Schipol Plaza, ormai distanziato ben benino dalla mummia, prendo il treno per Leiden. Spoor 4, entro 30 secondi, mi fa quella dell’Ufficio Informazioni. Penso che mi stesse prendendo per i fondelli.
Il successivo, sempre sul binario 4, era entro 10 minuti. Vedere le nuvole, le gocce di pioggia e sentire l’umidità fresca mi hanno messo addosso in 5 minuti netti, una sorta di depressione infinita. Guardavo smarrito attraverso i vetri del treno giallo già con le gocce di Aloperidolo a portata di mano. E pensavo al mio cielo infinitamente azzurro di Aruba. Qui a Leiden, appena sceso in Stazione Centrale, c’era una confusione enorme, camion che stavano allestendo un mega luna park proprio in centro, ho rischiato di essere travolto da una banda criminale di ciclisti che non si fermano davanti a futuri cadaveri, poverini che si sono fatti la notte insonne… Ho visto la solita nedherlandesità di tutte le città. Loro beati, felici, tra i canali, il grigio, la bamba…
Ho visto il centro, che alla fine, queste città sono tutte uguali e sono indistinguibili le une dalle altre. Ho camminato più che altro per rimettere a posto le giunture dopo una notte infernale e stare al fresco. Non mi pareva vero che non ci fossero che quaranta gradi costanti di Aruba. Ho passeggiato a lungo, non chiedetemi quello che ho visto, un po’ di chiese, il city hall e alcune brasserie del centro, dove mi sono gustato dei cappuccini al caramello e bagel.
Per mitigare la mia tristezza e il mio pessimismo cosmico, forse qualcuno impietosito dall’alto mi ha fatto uscire un po’ di sole e devo dire che la città ha ripreso un po’ di vivacità, soprattutto vicino al mulino, dove dei tossichelli cercavano di capire se potessi essere un buon acquirente e un pollo da spennare. Invece poi non mi hanno cagato di striscio, chi vuole avere a che fare con un vecchietto canuto che si trascina per i graacht di Leiden?
Memore del casino all’andata, ho preferito tornare in aeroporto ad un orario decente, mi sono portato in stazione convinto che il treno delle 18 potesse essere quello giusto. Ecco, purtroppo ho calcolato male i tempi. Le proverbiali ferrovie regali olandese avevano dei problemi di ritardo, alla stazione centrale c’era un casino inverosimile. Altoparlanti che gracchiavano, minacciavano, davano indicazioni sui vari aggiornamenti, vedevi le masse spostarsi da un binario all’altro. Tutto molto bello e semplice, peccato che fosse tutto in olandese. Ho capito che dalle parti di Den Hague c’erano degli attivisti sui binari del treno e questo ha scompensato il pur minuscolo ma fittissimo sistema ferroviario. Alla fine quello delle 18, dopo indecisioni, cambi di binario e di orari, doveva partire allem 18.25, no contro ordine 18,10 e alla fine è partito alle 18.15.
Insomma le mie preoccupazioni erano ingiustificate Schipol era sufficientemente vuoto e facile da affrontare, non c’era l’incubo dell’andata. D’altronde chi doveva tornare a Milano Linate alle 21… Alle 23, finalmente ero a casa.
Motto del viaggio: Take nothing but only photos, leave nothing but only footprints…