Ovvero le sfighe prima di partire.

Sono le 5 del mattino. Whatsapp suona. Non sono abituato. Mi giro di scatto e…. precipito giù dal letto. Vado giù di panza. Sento lo spigolo del tavolino di ferro tra le sopracciglia e sento il fiotto di sangue. Dundio. Mi alzo immediatamente, mi lavo. Mezza faccia insanguinata e in mezzo la stella capovolta della Mercedes, per fortuna che non è l’inquartato della BMW. Prendo il ghiaccio. Grazie a dio ce ne era una vagonata, sai quei sacchi da dieci chili? Mi comprimo forte, fino a rendere insensibile la fronte. Devo andare in ospedale. Insomma due punti…, vuoi vedere che la Europassistance servirà? Sto fermo immobile, ghiaccio ne ho per una crioterapia resuscitativa di un bue . Respiro piano, era mia madre… ma puoi svegliarmi alle 5? Aspetto tre quarti d’ora. Mi sembra che vada meglio. La ferita non è slabbrata. Desisto. Rimango nel dormiveglia, immerso nel ghiaccio. Chiamo mia madre. Ma santa donna, stavo dormendo. Ma arrivi oggi?, me lo dice per la cinquantesima volta. Io non capisco molto. Ma puoi rovinare le mattine così alla gente? Sai che c’è sciopero. Ecco, mi tocco, mi irrigidisco, divento scortese. Mater batte in ritirata. Non ti chiamo più. Bene.

Poi alle 8 ero pronto di tutto punto. La valigia la lascio in camera. La vado a prendere dopo verso le 17. Mi lavo la faccia, tragedia, inizia a sanguinare di brutto. E di nuovo ghiaccio, impacchi. Ritorno immobile, pronto per l’ecmo. Per fortuna che si risolve in breve tempo. Esco nel fresco della mattina. Mi sento bene. Non fa caldo e mi piace sentire la brezza fresca sulla faccia. Col casco faccio attenzione a non toccarmi. Sono lì per mezz’ora seguendo la costa, fino a Church Bay. Un posto fantastico, molto mediterraneo, verde lussurioso. Tutto bello. Arrivo alla baietta, dopo aver sceso non so quanti mila gradini. Mi accordo di non aver gli occhiali. E no… Di corsa col fiatone sul motorino. E mi faccio quei dieci chilometri. Ma puoi accorgetene dopo mezz’ora? Idiota. Entro in camera, ed erano sopra il frigorifero. Dove potevano mai essere. Riparto più tranquillo. Vado a zonzo, faccio colazione con le mie tartarelle di mela e il Nesquick. Rimango seduto su una banchina appena oltre le cassiere del Bennet e nessuno mi dice niente.

In più ho internet anche se lentissimo. Riparto questa volta davvero calmo. Non ho una meta. Il nuvolone arriva improvviso, spiovono alcune gocce rinfrescanti ma tutto sommato gradevoli. Mi fermo lungo la costa, sotto gli alberi. Osservo di nuovo il magnifico mare, anche se nuvoloso. Sempre perfetto.

Ritorno indietro e mi porto finalmente a Horseshoe Bay. Faccio il bagno. Vorrei affogare qualche puelcra e fanciullo ma rimane solo un’intenzione. Godo del fresco delle onde, dei pescetti, della sabbia rosa. So che domani mi mancherà di brutto. Ogni istante sarà come un piccolo addio. Tutto così semplice. E nulla. Alle tre riporto il motorino. Avrei voluto lasciarlo direttamente all’appartamento e avrei speso la modica cifra di 80 euro ma non era possibile.

Il renter mi riconosce e dice ad alta voce: Carleeetto Genoviseeee! Caspita, mi guardo indietro. Sta chiamando me, sono commosso. Si ricordava alla perfezione chi fosse. Probabilmente il mio essere stremato lo aveva preoccupato così tanto. E nulla. Tutto bene? Ok col motorino. Sì. sì, alla perfezione.

Così mi faccio con tutta calma i tre chilometri del ritorno. Potrei prendere il taxi ma per una piccola camminata… Cosa vuoi mai essere? Percorro piano piano la strada, strisciando sotto le piante, cercando di non sudare. Il cielo è tornato nella sua perfezione assoluta. Caldissimo. Ma non demordo, cammino, impiego un’ora e mezza. Arrivo finalmente a Warwik, trionfante, senza aver perso la strada, mi manca di alzare le mani al cielo e gridare, Adriaana. Mi concedo il lusso di prendermi un burgher. Golosissimo e assetato.

E così alle cinque ultima fatica per l’albergo. La barbona dell’appartamento mi ha lasciato la valigia in giardino. Stronza di merda. Scusate per 1200 dollari. Poi vedrai quando mi chiederà di dare la quinta stella alla recensione. Non mi faccio problemi, mi cambio en plein air lì nel giardino. Che mi veda pure tutta Bermuda… Via pantaloncini, mutande, pantaloni lunghi, scarpe e maglietta. Sono sudatissimo.

Ecco ultima tragedia… Non trovo la macchina fotografica. Nello zaino non c’era, nella valigia l’avrò mai messo lì. Sono impanicato. L’ho lasciato al Tiger Food. Aspetto con ansia quei minuti con febbrile ansia. Vorrei rotolare giù dalla collina. Vorrei chiamare il tassista ma ovviamente sono senza internet. In pochi minuti arriva. La solita faccia da tolla. Italia, bella italia. Please, take me to the Tiger Food Court. Maybe I left my camera. Scendiamo di corsa, a momenti fa un testa coda. Entro di fretta, ovviamente della camera niente. Nessuno l’ha vista. Una cassiera mi ha detto che quando ero uscito ce l’avevo al collo. Ok, apro la valigia e la trovo in fondo tra le mutande. Sono felice. Abbraccio il tassista, lo ringrazio. Puoi chiedermi tutti i soldi che vuoi per il trasporto in aeroporto. Mi fiondo nel negozio e platealmente alzo la mano con la fotocamera in mano. I found it. Sorry, thank you all. E mando bacini con la mano inchinandomi a novanta gradi. E parte un applauso generale, dodici persone mi battono le mani all’unisono, come quasi nella canzone dei One Republic. Sono quasi commosso. Esco, guardo il cielo azzurrissimo di Bermuda e volo verso l’aeroporto, ovviamente dove troviamo anche un incidente. Tié.

Ovvero le sfighe prima di partire.

Sono le 5 del mattino. Whatsapp suona. Non sono abituato. Mi giro di scatto e…. precipito giù dal letto. Vado giù di panza. Sento lo spigolo del tavolino di ferro tra le sopracciglia e sento il fiotto di sangue. Dundio. Mi alzo immediatamente, mi lavo. Mezza faccia insanguinata e in mezzo la stella capovolta della Mercedes, per fortuna che non è l’inquartato della BMW. Prendo il ghiaccio. Grazie a dio ce ne era una vagonata, sai quei sacchi da dieci chili? Mi comprimo forte, fino a rendere insensibile la fronte. Devo andare in ospedale. Insomma due punti…, vuoi vedere che la Europassistance servirà? Sto fermo immobile, ghiaccio ne ho per una crioterapia resuscitativa di un bue . Respiro piano, era mia madre… ma puoi svegliarmi alle 5? Aspetto tre quarti d’ora. Mi sembra che vada meglio. La ferita non è slabbrata. Desisto. Rimango nel dormiveglia, immerso nel ghiaccio. Chiamo mia madre. Ma santa donna, stavo dormendo. Ma arrivi oggi?, me lo dice per la cinquantesima volta. Io non capisco molto. Ma puoi rovinare le mattine così alla gente? Sai che c’è sciopero. Ecco, mi tocco, mi irrigidisco, divento scortese. Mater batte in ritirata. Non ti chiamo più. Bene.

Poi alle 8 ero pronto di tutto punto. La valigia la lascio in camera. La vado a prendere dopo verso le 17. Mi lavo la faccia, tragedia, inizia a sanguinare di brutto. E di nuovo ghiaccio, impacchi. Ritorno immobile, pronto per l’ecmo. Per fortuna che si risolve in breve tempo. Esco nel fresco della mattina. Mi sento bene. Non fa caldo e mi piace sentire la brezza fresca sulla faccia. Col casco faccio attenzione a non toccarmi. Sono lì per mezz’ora seguendo la costa, fino a Church Bay. Un posto fantastico, molto mediterraneo, verde lussurioso. Tutto bello. Arrivo alla baietta, dopo aver sceso non so quanti mila gradini. Mi accordo di non aver gli occhiali. E no… Di corsa col fiatone sul motorino. E mi faccio quei dieci chilometri. Ma puoi accorgetene dopo mezz’ora? Idiota. Entro in camera, ed erano sopra il frigorifero. Dove potevano mai essere. Riparto più tranquillo. Vado a zonzo, faccio colazione con le mie tartarelle di mela e il Nesquick. Rimango seduto su una banchina appena oltre le cassiere del Bennet e nessuno mi dice niente.

In più ho internet anche se lentissimo. Riparto questa volta davvero calmo. Non ho una meta. Il nuvolone arriva improvviso, spiovono alcune gocce rinfrescanti ma tutto sommato gradevoli. Mi fermo lungo la costa, sotto gli alberi. Osservo di nuovo il magnifico mare, anche se nuvoloso. Sempre perfetto.

Ritorno indietro e mi porto finalmente a Horseshoe Bay. Faccio il bagno. Vorrei affogare qualche puelcra e fanciullo ma rimane solo un’intenzione. Godo del fresco delle onde, dei pescetti, della sabbia rosa. So che domani mi mancherà di brutto. Ogni istante sarà come un piccolo addio. Tutto così semplice. E nulla. Alle tre riporto il motorino. Avrei voluto lasciarlo direttamente all’appartamento e avrei speso la modica cifra di 80 euro ma non era possibile.

Il renter mi riconosce e dice ad alta voce: Carleeetto Genoviseeee! Caspita, mi guardo indietro. Sta chiamando me, sono commosso. Si ricordava alla perfezione chi fosse. Probabilmente il mio essere stremato lo aveva preoccupato così tanto. E nulla. Tutto bene? Ok col motorino. Sì. sì, alla perfezione.

Così mi faccio con tutta calma i tre chilometri del ritorno. Potrei prendere il taxi ma per una piccola camminata… Cosa vuoi mai essere? Percorro piano piano la strada, strisciando sotto le piante, cercando di non sudare. Il cielo è tornato nella sua perfezione assoluta. Caldissimo. Ma non demordo, cammino, impiego un’ora e mezza. Arrivo finalmente a Warwik, trionfante, senza aver perso la strada, mi manca di alzare le mani al cielo e gridare, Adriaana. Mi concedo il lusso di prendermi un burgher. Golosissimo e assetato.

E così alle cinque ultima fatica per l’albergo. La barbona dell’appartamento mi ha lasciato la valigia in giardino. Stronza di merda. Scusate per 1200 dollari. Poi vedrai quando mi chiederà di dare la quinta stella alla recensione. Non mi faccio problemi, mi cambio en plein air lì nel giardino. Che mi veda pure tutta Bermuda… Via pantaloncini, mutande, pantaloni lunghi, scarpe e maglietta. Sono sudatissimo.

Ecco ultima tragedia… Non trovo la macchina fotografica. Nello zaino non c’era, nella valigia l’avrò mai messo lì. Sono impanicato. L’ho lasciato al Tiger Food. Aspetto con ansia quei minuti con febbrile ansia. Vorrei rotolare giù dalla collina. Vorrei chiamare il tassista ma ovviamente sono senza internet. In pochi minuti arriva. La solita faccia da tolla. Italia, bella italia. Please, take me to the Tiger Food Court. Maybe I left my camera. Scendiamo di corsa, a momenti fa un testa coda. Entro di fretta, ovviamente della camera niente. Nessuno l’ha vista. Una cassiera mi ha detto che quando ero uscito ce l’avevo al collo. Ok, apro la valigia e la trovo in fondo tra le mutande. Sono felice. Abbraccio il tassista, lo ringrazio. Puoi chiedermi tutti i soldi che vuoi per il trasporto in aeroporto. Mi fiondo nel negozio e platealmente alzo la mano con la fotocamera in mano. I found it. Sorry, thank you all. E mando bacini con la mano inchinandomi a novanta gradi. E parte un applauso generale, dodici persone mi battono le mani all’unisono, come quasi nella canzone dei One Republic. Sono quasi commosso. Esco, guardo il cielo azzurrissimo di Bermuda e volo verso l’aeroporto, ovviamente dove troviamo anche un incidente. Tié.