Il giorno di ieri è stato molto easy, proprio per questo Mater ha fatto una lunga passeggiata di almeno due chilometri.

Ho scelto di seguire il sentiero a sud che costeggia la spiaggia. In realtà si snoda tra i vari resort per cui è un jogging trail molto chic, una promenade in piccolo, un red carpet hollywoodiano, un gioellino esclusivo. Non ci sono cartacce, l’erba dei prati è immacolata. Le aeree sacre con i tempietti impreziosiscono il paesaggio.

Tra i resort, c’è anche il Visitor Center di non so bene cosa, con un giardino giapponese, ponticelli rossi e ruscelli che scorrono tra le pietre finemente lavorate.

Ho davvero apprezzato molto la passeggiata, Mater un po’ meno. Era rognosetta, le faceva male la gamba, ma non il femore dove era stata operata, ma il ginocchio. Per forza, sono due settimane che non prende i farmaci per l’artrite reumatoide.

È una continua lagna, si trascina, vuole abbandonare il bastone. In ogni resort, la faccio sedere nelle poltrone. La camminata si dilata nel tempo, si allunga sotto il cielo azzurro di Bali. Il mare si è ritirato, c’è bassa marea. Le barche appoggiano sulla battigia.

Non mancano i venditori di sarong o chi ti offre massaggi balinesi. Mater si ferma, parla e attacca bottone con tutti. Per fortuna che nessuno le risponde quando parla in italiano. Loro insistono nella vendita, mia madre riparte con la sua litania, dice che è italiana, di Como, arrivata tre giorni fa: lui è il figlio, io 85 anni. Non traduco, balbetto qualcosa. Desistono per sfinimento, dovrebbe essere il contrario.

Due noiosissime persone durano di più. Ti rimangono attaccate come patelle sulla roccia. La Giulia e l’Antonio. Non giuro sui nomi, ma secondo me ci prendevano per i fondelli. Soprattutto l’Antonio, odoroso di sudore, che mi toccacciava, che non mi mollava. Neanche con frasi secche e inglesi.

Basta menzionare il Club Med perché la voce si sparga. In poco tempo lo sanno tutti nel mercatino accanto ai blasonati resort. Arriva un sedicente taxista. Si vende per 60 euro, una giornata. Mi porterebbe alle terrazze di riso, a Ubud. Mi sgancia il biglietto da visita. Gli dovrei whatsappare o per sì o per no. Sì, credici, che io ti mando un messaggio.

Arriviamo alla prima isoletta collegata alla terraferma da un sottile istmo di terra. Mater non vuole restare sola tra i vari antonio e giulie. L’ansia le mette il turbo. Sale la collinetta. Da lì, si ha un panorama a 360 gradi. Gli alberi di frangipane sono colmi di fiori. Non riesco a smettere di guardarli tanto sono belli. Su in cima il tempietto, un po’ lasciato andare, proibisce categoricamente alle donne in mestruo di non entrare. Guardo Mater, lei non è toccata dal divieto.

Intanto osservo il paesaggio, incantevole. Le bandiere rossebianche sventolano nella brezza del mattino. Le onde del mare si infrangono sulla barriera corallina e muoiono poco dopo, lasciando in secca una buona parte di baia.

Scendiamo con lentezza esasperante. Mater non è ancora sicura ma si lascia convincere a vistare anche l’altra penisola, proprio di fronte. Non si lamenta e cammina. In realtà il tragitto è brevissimo, peccato sia sotto il sole che inizia a picchiare. So che Mater ha fatto un grosso sacrificio. La mollo su una sedia presa in prestito da un venditore ambulante, impietosito dalla claudicatio persistente di Mater.

Arrivo alla seconda isola, o meglio penisola, collegata da una strada. Al centro una colossale statua di due guerrieri, Khrisna e Arjuna durante la guerra di Bharatayudha. Noi abbiamo il Garibaldi a cavallo.

Faccio le foto e scappo immediatamente perché non c’è uno straccio di ombra e poi devo recuperare Mater, prima che chiami la protezione civile indonesiana. La trovo intenta a guardare il telefono, anche se non funziona internet. Approfitto di un bagno nel mare. Non ci sono alghe, l’acqua è trasparente. Sento un grosso desiderio di rinfrescarmi. Mater borbotta, d irmando le rispondo che siamo a Bali, un tuffo nell’oceano…

A mezzogiorno e mezzo restituiamo la sedia. Uno premuroso mi grida dall’altra parte della strada, se voglio un taxi. Yes. Centomila rupie. Coooooosa? Assolutamente no, e potete andarvene a quel paese. Per un chilometrino scarso, mi chiedete la bellezza di soldi pari all’equivalente di 20 chilometri.

Sono scossi dal mio no, sanno di aver osato troppo. Non accetto compromessi. Mater di buona lena, affamata questa volta, meno lagnosa, più centrata e meno dondolante, ripercorre lo stesso trail dell’andata. Sento lo sgomento che aleggia e tutti gli antonio e le giulie, in silenzio.

Va bene italiani, ma fessi no.

Il resto del pomeriggio al Club Med.