È la mia terza volta a Galway, che mi ha sempre affascinato. Nel 2001 e nel 2005. Non è una vera e propria città, ma un borgo aperto sull’oceano. Un po’ da persone depresse.

Stamattina sono arrivato prestissimo a Linate, preoccupato dal possibile traffico sulle tangenziali di Milano. Invece, il 30 dicembre sulle tangenziali di Milano non c’era nessuno, e, anche impegnandomi, sono giunto in aeroporto con oltre tre ore di anticipo, come se dovessi affrontare un volo intercontinentale. Ho però ammirato una meravigliosa alba con un sole tondo tondo completamente rosso. Non mi sembrava il cosa di fermarmi sulla corsia per fotografarlo.

Le operazioni di check-in sono state rapide. Al banco si stavano imbarcando i passeggeri per Londra e Dublino. Ho chiesto conferma di essere nella fila per il volo giusto. Mi ha sorriso l’hostess: non si preoccupi. No, io non mi preoccupo, ma la UK e l’Irlanda sono in due posti differenti.

Così mi sono seduto a un tavolino del caffè Motta, con un cappuccino chiaro e una brioche un po’ muffa al modico prezzo di 4,80 euri. Stica.

Il volo mi ha regalato un’impareggiabile vista su Como e il primo bacino. Me lo sono goduto tutto. Avevo perfettamente calcolato la posizione del finestrino sulla base delle rotte dei voli precedenti e, a meno di grosse sorprese, il volo doveva passare proprio sulla convalle.

Poco dopo, mi sono addormentato, entrando in letargo, e mi sono svegliato sull’Irlanda, con la punta dell’aereo, un po’ traballante, perfettamente allineata alla pista di atterraggio. Mi sono toccato un po’, visto che ultimamente gli aerei mancano le ultime fasi…

All’Avis, mi hanno dato una Dacia Sandero, per carità, nuova ma senza accessori, neppure la radio! Ero sconcertato. Come si può non avere la radio in auto! Ero disperato. Come affrontare duecento chilometri con il sonno arretrato, il tempo un po’ così, e una strada ventosa che ti metteva ansia ad ogni cura senza un po’ musica?

Ma ci sono arrivato, piede schiacciato sul pedale, 120 km di media. Peccato che ormai fosse buio. Esco a Galway est, senza un punto di orientamento, affidandomi solo su Google Maps. Mi avvicino alla costa. Sento il mare. Affronto con decisione tre, quattro rotonde, giro a destra, azz, ma è quella dopo, poco male, la successiva, mi fa fare il giro completo della collina. Peccato non vedere nulla.

Alla fine, inchiodo al numero 10 di questa stradina di campagna. Le istruzioni sembrano parte di una caccia al tesoro. Le seguo pedissequamente. La casa di mattoni rossi…, certo, rossissimi: è buio pesto come faccio a vederli? Entra nell’ampio patio. ‘Nzoma, dieci manovre per infilare la Dacia. La casa è avvolta da un’atmosfera spettrale. La veranda è semiaperta. Non vedo nulla. Mi aspetto che da dietro qualcuno mi insegua con l’ascia. Le chiavi sono all’interno delle scatolette, sulla sinistra, accanto alla finestra. Vederle. Nella mia, la scatoletta 6, la combinazione è la 6199. Faccio fatica a vedere i numeri. Il vento si infila dentro e rimbomba nella veranda. Ci sono sacchi per terra. Non voglio sapere cosa ci sia dentro. Entro e mi ritrovo in una stanza larga poco più di due metri. Ci sta a malapena il letto. Per il bagno, devi tirare indentro la pancia…

Alla fine, ho avuto un dilemma esistenziale: non sapevo come accendere l’acqua della doccia… Non ve lo dico. Sono diventato scemo per ore. Fino a quando, disperato, ho dovuto chiamare il Demis…