Quando ti alzi in Norvegia, devi lottare duramente contro la mandria di Vichinghi per avere la colazione. Altrimenti spolverizzano il bancone lungo un chilometro in tre secondi netti.
Appena li ho visti, ho fatto uno scatto per arrivare primo. E, sebbene la mia mole fosse notevole, l’ho vinta su di loro. Certo erano appesantiti da una quantità imprecisata di ferramenta, tra borchie, orecchini, gingilli vari.
E io che speravo nel candore della crema di una brioche, ho dovuto ripiegare su formaggi e salumi e un pane ruvido come la spugnetta per lavare i piatti ma buono. Ideale per una gastrite acuta.
Poco dopo sono partito di buona lena per i miei 368 km, ho impiegato dieci ore. Ma ogni tre per due mi fermavo, facevo fotografie. Ero emozionato davanti allo spettacolo della natura. Queste montagne, tanti Resegooni, ancor più inquieti, si ergevano a picco dal mare. Le nebbie ne trafiggevano il corpo a metà altezza. Ogni tanto qualche banco di foschia mi impediva di vedere a un palmo di naso. Temevo di cadere in mare.
Ero così attento alla guida che adesso sono stanchissimo, ma il paesaggio mi ha ripagato di tutto. Il cielo terso come non ho mai visto in Norvegia, il verde intenso delle colline.
La strada mi ha massacrato, le roulotte pure, le curve cieche mi paralizzavano e spegnevano anche la minima intenzione di sorpasso. Le spiaggette cullavano anse di mare di un verde smeraldo da fare invidia ai Caraibi. Se non ci fossero state le onnipresenti bandiere avrei dubitato di essere in Norvegia.
Prima di giungere a Narvik mi sono lasciato come una sirenetta, o meglio capodoglio spiaggiato, a contemplare il sole, il cui riverbero si spandeva sulle onde lievi del mare, accentuandone la loro forma. Ho messo piede nell’acqua gelida del mare e ho sentito il brivido fino in fondo risalire su per la nuca…
Narvik è una città bruttina. Niente da dire…