Finalmente sono arrivate anche per me le tanto attese vancanze di questo anno di cacca. E io…. che già mi pregustavo un bel viaggio nello Stato del Terranova o nella Big Island delle Hawaii, ho dovuto ripiegare sulle eolie.

Non mi lamento, ma queste isole potevano essere considerate come una gita fuoriporta. Ma va bene lo stesso. È così, e dobbiamo accettare.

All’aeroporto di Malpensa, il deserto dei Tartari. Vuoto, vuotissimo. Terminal 2 chiuso, la Easy Jet trasferita nel più gettonato e blasonato terminal 1. Insomma ha fatto l’upgrade.

Ma a quanto pare, però, tutti dovevamo andare a Catania. Distanziamento sociale con le relative regole anti-Covid ripetuto in un loop ossessivo. Facevi fatica a capire che eri in un aeroporto. Non so, mi aspettavo, ad esempio, un annuncio del tipo: il volo per New York partirà dal gate B56. No, zero all’ennessima potenza.

Ci siamo però trovati tutti ammassati nella hall piano terra, quella degli sfigati, per inscatolarci per benino nel pulmann che ci avrebbe traghettato alla piazzola dell’aereo.

Ma puoi? Altro che metro canonico….

Comunque sull’aereo pensavo peggio, invece avevo una fila libera davanti e nessun’altro nella nostra. Mi sono espanso, occupando due sedili. Il tempo fuori era meraviglioso, la geografia lombarda era perfetta. Il Ticino, la confluenza con il Po, a seguire Mortara, Stradella e l’inizio dell’Oltrepo. Poi mi sono perso in qualche nuvolettina innocua. Ho intravisto Punta Chiappa, la Riviera di Levante. Ho riconosciuto Piombino e l’Isola d’Elba sulla quale stavamo passando.

Sono successivamente sprofondato in un sonno catatartico per svegliarmi sopra Palermo. Abbiamo tagliato in diagonale la Sicilia, virando poco sotto Termini. Ho perso di nuovo la geografia sicula per orientarmi finalmente sopra Catania… Una lunga virata per prendere la pista in direzione contraria rispetto al nostro senso di marcia mi ha permesso di vedere una bellissima immagine della città e dell’Etna.

Pensavo continuamente alla Gerardina Trovato e la sua “Non ho più la mia città” era dentro la mia testa che mi tormentava. Ma neanche se stessa, a quanto pare. L’ho vista dalla Barbarella, completamente cambiata, non solo più grande, ma smagrita, capelli secchi, con una patina opaca davanti agli occhi. Invecchiata appunto, senza più la gioia e la speranza della sua canzone. Se non avesse pensato a New York probabilmente avrebbe “Trovato” di nuovo se stessa.

A Catania dovevamo incontrarci col prete, fratello di mio zio defunto. Mater ci teneva a salutarlo. Così alle diciassette ci siamo trovati fuori dall’albergo ad aspettarlo. Non ricordando come fosse fatto, Mater sulla strada ad ogni macchina che si avvicinava, si sbracciava e salutava persone totalmente ignare e sconosciute. Temevo che arrivasse l’ambulanza.

Comunque grande piacere ritrovare Don Giuseppe, e tra una minna di Sant’Agata e un cannolo lungo 20 cm, loro hanno colmato il gap di un lustro di assenza.

Io stavo sbadigliando. Ma tant’è…. E così, ormai all’imbrunire, una corsa veloce per via Etnea fino al Duomo. Eccolo, l’elefantino. Dovevo vederlo. A dire il vero un po’ inquietante con quegli occhi di marmo bianco. Essendo tutto di nero, sembrava spiritato. Comunque per me era sufficiente per dire di essere stato a Catania.

Ristorantino, caponata e spada alla griglia: la serata è passata liscia, liscia.