Ieri, e non dico il nome del ristorante, abbiamo preso una sonora inc…ta. Tra i due ristoranti aperti, abbiamo scelto il secondo, perché il primo lo avevamo già provato la sera precedente.
Entriamo nella luce abbagliante del locale dal buio più totale, non ci sono infatti lampioni a Panarea, e ci sediamo a questa tavola rotonda, grande come l’elisuperfice, imbandita con vettovaglie in stile suntuoso.
Dovevamo capire da subito che l’inc…ta era dietro l’angolo, nonostante la rotondità del tavolo. All’ingresso, non uno straccio di menu. Morale della favola, tutti i piatti, dagli antipasti ai secondi, costavano 25 euro. Un piatto di spaghetti pur condito con un chilo di salsa Mutti, 25 euro.
Quattro cannoli, invisibili nel piatto, 10 euro. Totale 72 euro, e avevamo ancora fame.
Volevamo scappare dalla terrazza. Mai più. Che chiudano.
A parte l’inconveniente, oggi sono riuscito a salire sulla Punta Corvo, nonostante il menagrano del vecchiardo di ieri, che penso stia ancora ridendo dopo aver chiesto indicazioni per salire la montagna. Tiè.
Al secondo tentativo, sono riuscito a trovare il sentiero, ovviamente bello nascosto, dietro il Raya, albergo della movida panarellese. Salgo, arranco, scavalco pietre giganti, schivo immense foglie di fico d’India. Sudo già dai primi passi, la lingua a penzoloni.
La vetta non la si vedeva. E salivo. Sentiero faticosissimo, poco battuto, impervio. Sentivo dentro di me rombare le grasse risate del siculo con l’Apecar. Ma non volevo dargliela vinta. Con infinita pazienza, dopo mila respironi, piano piano, l’Indiana Jones del Comensis Contado giunse alla vetta. Gesti scaramantici, sfottò, corna e ricorna e una lunga pisciata, tanto ero certo che nessuno sarebbe salito, seguirono all’entusiasmo iniziale.
Mi sono poi perso con lo sguardo per l’indefinito, nell’orizzonte piatto del Tirreno, dopo aver contato, come in una sorta d’appello, tutte le isole, cominciando da Stromboli, la più appariscente, spettacolare, nitida tra tutte le altre. Le salutavo una ad una, sapendo che difficilmente sarei tornato.
Dopo l’ora di meditazione, di cottura sotto il sole cocente, iniziai la discesa, prendendo il sentiero a Nord. Devo dire che la discesa è stata più difficile dell’ascesa. Ero stanco, le ginocchia si bloccavano. Dopo un tempo estenuante, ecco che giungo finalmente sulla strada principale. Sarei stato anche in grado di abbassarmi e baciare il terreno, talmente fuso e scisso era il mio essere.
Mia madre mi aspettava, l’avevo chiamata dalla vetta e avevamo anche una comunicazione visiva. Trascinandomi come un giustiziato che va al patibolo, sono giunto da Carola, al porto. Stremato, ma felice della mia impresa, che verrà ricordata negli annali di storia di Panarea.
Il resto della giornata, mi sono spiaggiato tra la candida sabbia marrone di Cala Zimmari. Non mi sarei alzato da lì neanche con uno tsunami, ebbro e felice di morire dopo un’impresa così titanica.