Dopo la ritirata precipitosa per non essere sommersi dal vomito e dal mal di mare, con donne in ansia e lamenti, ho avuto le mie remore nel riprendere una barca per andare a Ginostra.
Il tempo non prometteva bene, c’era un maestrale piuttosto fastidioso che ti pungeva le spalle, così ho abbandonato definitivamente l’idea di circumnavigare l’isola.
Ho letteralmente piantato Mater nella piazza di San Vincenzo, davanti alla chiesa, prima o poi qualcuno avrebbe celebrato la messa ed ella sarebbe stata felice e contenta. Io con ritrovato entusiasmo (finalmente senza la zavorra di Mater) mi sono caricato di molte speranze: l’idea era di percorrere il sentiero a mezzacosta che avrebbe portato alla Sciara del fuoco. I cinque chilometri indicati sul cartellone gigantesco non mi spaventavano.
Parto, salgo agevolmente l’erta dritta dietro la chiesa fino alla mulattiera. Incontro un gruppo di toscani, di cui uno, un certo Alessio, non la smetteva di parlare ed era di una saccenza insopportabile. Non so, forse erano dell’università di Firenze. Uno di loro aveva una vanga, che avrei tirato ben volentieri in testa. Per fortuna che li ho abbandonati subito, non sopportavo più le loro caciare.
Finalmente percorro il sentiero in santa pace, faticoso in alcuni punti, facilissimo in certi altri, con sbalzi di livelli importanti soprattutto in prossimità del canalone. Pochi tratti in cui il sentiero non era ben tracciato ma era solo un aggregato di massi lavici che dovevi scalare.
Perfetto direi. Nonostante il fiatone, l’ipossia, la cianosi, ero felice nella mia impresa. Il tempo è migliorato parecchio e il mare era di un azzurro strepitoso, così come il cielo.
Poi il fattaccio raccontato ieri. Con la ragione del poi, anch’io avrei potuto avere un po’ più di accortezza e ripararmi dietro a dei cespugli che certo non mancavano. Ma ormai era una sfida tra me e il vulcano, tra me e la natura rigogliosa che mi circondava. E se il vulcano borbottava, io peggio di lui, andavo avanti.
Dopo tre ore di cammino, giungo al bivio. Scendere all’osservatorio, che era molto più in basso rispetto a dove mi trovassi, e in prossimità del quale si era arenato il mio tentativo di scalata nella giornata di ieri, oppure salire alla Sciara del fuoco.
Non ho esitato. Sono salito, salito e salito. Mi sono portato sui 400 metri e quest’ultimo pezzo, non so, non l’ho neanche sentito. Fino a ritrovarmi davanti alla Sciara del fuoco, questo vallone nel quale scende la lava. Uno spettacolo stupendo. Sono rimasto incantato, meravigliato e continuavo ad osservare il cratere e il mio sguardo scendeva seguendo il pendio.
Bellissimo, bello quasi quanto il cratere delle Hawaii. Solo che c’era una ressa di persone, una cagnara. Avrei fatto cadere i francesi che erano così irritanti, così presuntuosi. E poi, tsè, io arrivavo dall’altra parte dell’isola mica dall’osservatorio. Pivellini dei miei stivali.
Mi sono trattenuto, ero pronto ad esplodere. Ma ho contato fino a un milione. E poi lentamente sono sceso. Mater sicuramente aveva finito messa e mi aveva chiamato. Per non farla preoccupare, sono sceso a rotta di collo il sentiero fino all’Osservatorio e da lì, praticamente fino a Piscità, in prossimità della spiaggia. Le avevo raccomandato di prendermi due arancini, ma lei, no, gnucca, mi ha preso un pezzo di focaccia che mi ha fato venire una sete…
Poi io ero morto, mortissimo. Dopo quasi 9 chilometri, ci credo. Ma Mater, bella, fresca e riposata, voleva andare in giro nella speranza di trovare un negozio di souvenir. L’avrei lasciata sul cucuzzolo dello Strombolicchio.