Oggi è stata una giornata lunghissima e faticosa ma ne è valsa la pena. Abbiamo girato mezza Armenia, per darvi un’idea, ci siamo fatti la bellezza di Milano Livigno, andata e ritorno.

Siamo partiti dall’albergo alle 8,30. Marianna l’abbiamo presa a casa sua, a nord di Yerevan. Tutta sorridente, tutta svampita. Aveva preparato ogni cosa per il caffè in itinere, con la torta comprata ieri ad Areni, a sud dell’Armenia. Ovviamente era un po’ in ritardo, come del resto tutte le donne. Aveva avuto problemi con la macchinetta del caffè o qualcosa del genere.

Puntiamo subito verso il lago Sevan, percorrendo la Motorway 4. Lungo la strada, c’era una statua gigantesca di un’aquila. Per fortuna che era nell’altra corsia, altrimenti già mi vedevo arrampicarmi sulla collinetta, inseguendo l’armena. Il tempo non è dei migliori. Anzi fa proprio schifo. Grigio, nuvoloso. Sembra una giornata invernale, non fa freddo ma nemmeno caldo. Il lago si apre davanti a noi ma è un po’ una delusione, forse perché il tempo è incerto, forse perché non sono preparato al grigiume. Sembrava di essere in Norvegia nelle peggiori giornate piovose. Ci fermiamo lungo la riva, e passeggiamo. Non so, davvero, per alcuni momenti mi sembrava di essere sul lago di Garda in altri credevo di essere affacciato a un fiordo norvegese.

Le scritte in armeno e qualche palazzone di certa origine sovietica, mi riportavano alla realtà. Siamo stati poco tempo perché abbiamo preso l’auto e ci siamo portati a nord. Appena superato il tunnel, ci siamo ritrovati nella regione alpina dell’Armenia. Dalla Norvegia al Trentino Aldo Adige in pochi chilometri. Ci siamo fermati a Dilijan, che deve aver avuto tempi migliori, una specie di Tabiano Terme decadente, dove stanno cercando di riportare in vita il centro storico, togliendo la polvere atavica depositata del regime sovietico. Casette in legno, qualche negozio di souvenir ma in versione mini. Un gattino e dei cani randagi reclamano il cibo. Un vecchietto seriosissimo, ma completamente buffo, brandisce la scopa per scacciarli e cerca di tirare loro un sasso. Poveri.

Dopo questa esperienza ci perdiamo proprio nella regione alpina, dove le caprette ti fanno ciao. Ci manca solo Heidi. Il tempo non aiuta, cala spesso la palpebra. Le nuvole basse, le montagne innevate svettano lontane e sono coperte dalla nebbia. Ci fermiamo in un resort, costruito nel 2021, formato da tre tensostrutture di plastica, come quella che hanno piazzato davanti al pronto soccorso dell’OSA. Cerchiamo di farci il caffè con la macchinetta, infilandola nella presa dell’accendisigaro della Nissan. Ho il terrore che l’auto non parta più. I cani ci guardano incuriositi. Alla fine il proprietario ce lo fa lui il caffè perché se aspettiamo che si scaldi l’acqua, il motore della Nissan sarà cremato.

Ripartiamo poco più svegli di quando siamo arrivati. Ci incamminiamo nella regione del Lori. È un viaggio indietro nel tempo. Finora l’Armenia ha mostrato il suo aspetto moderno, dalle parti di Yerevan si è emancipata. Qui sembra tutto fermo dall’occupazione sovietica. A Tumanyan, uno dei paesini che scorrevano via velocemente, sembrava di essere in un’atmosfera fiabesca, nella Sicilia rurale di inizio 1900. Due palazzoni sovietici attorno ad una fontana, una statua e strade butterate. Fine dell’orrore. Per rivitalizzare il centro, cosa hanno pensato bene di fare? Un museo delle scatole di fiammiferi. Roba da tagliarsi le vene. Un museo sostenuto dai fondi europei per lo sviluppo dell’Armenia. E siamo nel 2023, immagino come poteva essere all’inizio del secolo scorso.

Poco più avanti ci fermiamo nella città di Aliverdi, un tempo fiorente per un importante industria sotto il regime. Adesso un po’ sonnolenta. Ci vediamo il ponte che ha resistito a tutto e che ci è pervenuto a noi nella sua struttura originaria, ormai tutto sgangherato. Incontriamo lo zio di Marianna. Lo salutiamo. Poco prima del confine con la Georgia, svoltiamo per il Monastero di Haghpat, patrimonio dell’Unesco. La polizia ci blocca poco la deviazione perché su, al monastero le scolaresche della città stanno festeggiando l’ultimo giorno di scuola e tutti con l’auto sono sul piazzale principale. Poco male. Esce il sole. Il verde è intenso, il sole picchia forte. Diverse auto della polizia, le auto con dei palloncini attaccati manco fosse un gigantesco matrimonio.

Ci vediamo il monastero costituito da diversi edifici, il paesaggio è magnifico, la spiritualità di questi luoghi è così intensa. Marianna con il cellulare mette la musica suonata da non so chi. Un uccellino si ferma proprio su di noi ad ascoltare il suono soave. Giuro, è estasiato come tutti noi. Non voglio più scendere, l’azzurro è così intenso così come il verde. L’Irlanda non è niente in confronto… Decidiamo di tornare indietro, dopo aver visitato una fortezza e fermati al ristorante dello zio di Marianna, all’interno di una grotta, come quello di Polignano. Abbiamo mangiato formaggio, pane e tanta verdura. Sazi e soddisfatti, con la panza piena, abbiamo ripercorso i 150 chilometri che ci dividevano da Yerevan, ma lo spettacolo del tramonto sugli altopiani verdissimi del canyon erano davvero emozionanti.