Lo so, lo so. Non è passato nemmeno un mese che sono di nuovo su un aereo che mi porta al mare.
Sono incorreggibile, ma avevo ancora un rimasuglio di desiderio al quale non ho saputo resistere. Dovevo andare via.
D’altronde, che cosa devo fare? Ringrazio dio che me lo posso permettere: non ho figli, non devo guardare al futuro, ho ancora la baldanza di prendere e andare via, anziché rimanere seduto sul divano.
D’altronde se riesco a mettere via 6 giorni di fila, nonostante le lagnanze di colleghi nani a cui brucia il cu..lo, bene, ecco fatto.
Il problema era decidere dove. Il Tiziano Ferro, sebbene si sia disunito in questi giorni, continuava a dirmi e a soffiarmi all’orecchio: Destinazione mare.
Avrei voluto fare la Danimarca, ma avevo il presentimento di annegare nella pioggia.
Non c’era altra proposta. Destinazione mare, mare bello, mare turchese, mare con la sabbia borotalco, palme, venticello. E dunque… presto fatto.
La mia destinazione è Aruba. L’avevo sempre un po’ schifata, ma leggendo e informandomi meglio, insomma, l’isola si è fatta catturare da me e voilà, il primo volo da Amsterdam per Oranjestad.
Gli altri voli erano improponibili, dovendo fare scalo in mezza America.
Semplice la proposta della KLM. L’ho presa stamattina con un volo da Linate. Alle 4 del mattino pensavo di trovarmi l’aeroporto vuoto, invece, colpa dei due voli per Amsterdam e Parigi delle 6.30, mi sono ritrovato 400 persone al check-in. Ho iniziato con le giaculatorie e le invocazioni ai santi ma arrivato ad Amsterdam, con un’alba tersissima, dopo essere passato su Como e il lago, mi sono completamente liberato da tutte le mene che rimanevano ancorate come patelle, alimentando il senso di colpa.
Allo Schipol mi sono precipitato alla stazione e il primo treno in 15’ mi ha portato alla Stazione Centrale. Credo che Amsterdam sia la città che ho visto di più, almeno una ventina di volte. Il pensiero di passeggiare in quei vicoli, noti a tutti, mi incoraggiava e mi permetteva di ricaricarmi per il prossimo volo di 10 ore. Senza fretta, ho percorso la parte attorno alla stazione. Faceva freddo, ma era tutto perfetto, nonostante quel fastidiosissimo odore di bamba, che percepivi ovunque. Non mi sono attardato, e ho fatto bene, perché allo Schipol c’era il delirio disumano.
Giuro: c’erano più di 3.000 persone accalcate e incanalate nei percorsi delimitati dai nastri estraibili. File lunghe chilometriche, attorcigliate, aggrovigliate su se stesse; davvero, credo di non aver mai fatto una fila così in vita mia. Dalle 11 alle 12.45 per passare il controllo metal detector e passaporti. E per fortuna che il check-in l’avevo fatto, altrimenti neanche tre ore sarebbero bastate. Pazzi, furiosi, gli olandesi ma non puoi sottodimensionare i controlli in questo modo! È un aeroporto internazionale vero lo Schipol, da Amsterdam arrivi ovunque nel mondo, sul serio, mica Malpensa, e tu non puoi permetterti di far accalcare così la gente.
Sono arrivato al gate ovviamente correndo, ansimando, e respirando come un mantice che era già aperto e con tutte le persone già caricate nel pancione dell’Airbus. Sorry, sorry, brandendo la carta d’imbarco come una reliquia preziosa. Ma perché devo sempre arrivare ultimo… Alle 13,50 l’Airbus celeste si è alzato, ha puntato il muso verso ovest e siamo partiti per le 10 lunghissime ore che ci separavano da Aruba. L’aereo era pieno zeppo, non riuscivi nemmeno a respirare quasi. Le hostess, mica quelle gnocche della Emirates, erano stagionate, corporute e pettorute. Pranzo uno schifo, da acidità di stomaco. Olive, caponata, e peperoni come quelli con dentro il tonno che trovi alla Esselunga. Roba da bucarti l’epitelio gastrico. C’erano anche i tortellini. Almeno quello. Io ero sopra l’ala per cui non ho visto niente. Ero tormentato da un dolore oltre gastrico, anche nel basso ventre. Mi scappava la cacca, già c’erano le avvisaglie alla mattina ma era ancora presto. Non volevo riempire i bagni della KLM. Stoicamente mi sono trattenuto, anche quando c’erano delle pericolose turbolenze da qualche parte sull’Atlantico, tra le Azzorre e il vuoto infinito. Dai non era così insopportabile. Ma c’era la ragazzetta da parte di me che non si è mossa nemmeno di un centimetro. E muoviti, cammina, caspita dieci ora ferme! Ma come fai. L’ho fulminata e maledetta con le peggiori parolacce che mi potevano venire in mente.
E nulla, ad Aruba è arrivato con una bella virata a 360 gradi, elegante, senza tentennamenti e lasciandoci il tramonto alle spalle, ha toccato la pista in modo lieve e soffice, nonostante il peso di tutti noi…