È il giorno del viaggio, o meglio, del volo intorno al mondo. Diciotto lunghissime ore, immobili e stipati come sardine nei nostri posti. Una staffetta tra due aerei con cambio al DXB. La prima tratta da Malpensa a Dubai è stata tranquilla, smooth as a silk (come in una notissima pubblicità della Thai). Due vistose curvature nella rotta. Invece di incunearsi nello stretto passaggio tra Israele e Iran, sorvolando l’Iraq, dove i due paesi si lanciano amichevolemente dei missili, il pilota ha ignorato bellamente la Turchia dirigendosi verso l’Egitto. Dopo aver tagliato in due il Sinai, abbiamo sfiorato la punta meridionale di Israele, quasi sopra Eilat, e poi attraversato la penisola arabica fino al Golfo del Persico, ormai territorio assolutamente tranquillo.
Durante la cena, ho combinato un disastro. Il petto di pollo con le mezze penne al pesto era così duro che era impossibile da tagliare tanto facilmente. Ho iniziato con delicatezza con la punta del coltello. Niente, la carne non si tagliava. Ho tentato con più forza con un colpo così deciso che il pollo è volato nel vassoio di Mater, il pesto è schizzato sul monitor e, infine, il bicchiere, colmo di Seven Up, è finito contro il finestrino, dove la gravità ha fatto il resto. Ho sentito il fresco sui pantaloni e la chiazza appiccicosa sul tappeto. Ho iniziato a inveire in tutte le lingue. Bastardo di un pollo, avresti dovuto perire nella battaglia di Pordenone…
Tra Cipro e l’Egitto, ho fatto fare esercizi a Mater, costringendola a camminare lungo il corridoio dell’A380. Il bastone ha urtato praticamente tutti i vassoi ma nessuno ha osato dire nulla.
Fortunatamente, la sosta al DXB è stata brevissima, meno di un’ora. Un ragazzetto, un po’ annoiato, con un inglese morto sulle labbra -ho fatto una fatichissima a capire che cosa volesse-, ci ha portato tra i terminal. Lui quasi correva. Io, con il fiatone, lo seguivo a malapena. Non mi sono nemmeno fermato al Duty Free. Mater si è addormentata seduta stante, appena messo il popò sulla carrozzina formato extra-large e super confortevole.
Il secondo volo invece è partito puntualissimo nella nebbiosa mattina di Dubai. Nove ore di volo ininterrotto completamente al buio, per evitare che la gente si distraesse e non rimanesse zavorrata nel proprio posto. Ci hanno costretto ad abbassare gli scuranti dell’oblò. Un volo totalmente al buio, sebbene fosse giorno. Non mi sono interessato del percorso. Sapevo solo che eravamo sopra l’India, che abbiamo sorvolato lo Stretto di Malacca e seguito il profilo curvilineo dell’Indonesia.
Il cibo, simile a quello del primo volo, è stato facilmente domato con le posate senza nessun disastro. Anche stavolta ho insistito che Mater si facesse la passeggiata per tutta la lunghezza dell’aereo. Ma nove ore, in questo carrobestiame, al buio, anche il programma di intrattenimento non mi bastava a distrarmi, sono pesate parecchio. Ho appena fatto in tempo a vedere il tramonto, non so in quale parte di mondo mi trovassi, prima di essere risucchiato nell’oscurità.
Bali si è materializzata dopo i controlli, naturalmente per primi grazie alla sedia di Mater. Controlli, si fa per dire! Non hanno guardato nessuno dei documenti stampati. Oltre la dogana, un caos totale, un caldo afoso e dolciastro, un’infinità di persone con cartelli, un continuo brulicare tra inviti a meravigliosi tour di Bali, corse in taxi, e-sim convenientissime. Un mercato e noi le prede. Dopo questo labirinto di transenne, di voci urlanti e di cartelli con i nomi dell’universo, ho visto in lontananza l’uscita. Il Club Med ci aveva già individuati, sapeva chi eravamo. Senza un nome scritto, ci hanno fatto salire sul taxi. Immaginavo che dopo il ponte, ci avrebbero sequestrato per portarci via gli organi. Invece, il casino si è placato, la notte di Bali, impreziosita dalle palme e da una luna crescente, finalmente prendeva il sopravvento e potevo respirare la brezza del mare.