Siamo arrivati al Club Med in un silenzio assoluto e un buio totale. Era circa l’una di notte, e tutto intorno c’erano solo le rane che gracidavano nello stagno del resort. Altri suoni sinistri echeggiavano sotto le palme, tra le cui fronde la luna brillantissima faceva capolino.
Appena preso possesso della camera, mi sono lasciato andare a un lungo sonno fino alle 7, quando sono stato svegliato da una luce accecante.
La giornata di ieri si è svolta interamente nei pressi del Club Med, che è talmente grande che non riesci a capacitarti delle distanze. Perdi anche l’orientamento. Sai solo che da una parte si ha il mare, dall’altra la città di Denpasar.
Mater si è presentata al buffet della colazione. Non vi dico che cosa non aveva nel piatto! Alla fine, una cameriera l’ha aiutata a trasportare il carico accumulato. Io mi sono tenuto a distanza.
Abbiamo smaltito la colazione passeggiando lungo la spiaggia e ci siamo immersi nella piscina zen, visto che il mare era pieno di alghe. Neanche cinque minuti dopo, mi perdevo tra i templi nascosti nel vastissimo parco del Club Med.
Mi sentivo come un moderno Indiana Jones, alla ricerca di chissà cosa. Mater, intanto, la sentivi in lontananza russare sulle sdraio prensili. Nel frattempo osservavo le statue di pietra finemente lavorate, piccole, grandi, lasciate così nella vegetazione. Temevo di inciampare. Ovunque, minuscoli vassoietti di bambù, pieni di fiori, incenso, biscottini e frutti decoravano gli altari. I fiori di frangipane danavano colore e profumo all’ambiente.
Solo nel tardo pomeriggio siamo usciti dal compound del resort per esplorare i vicoli di Nusa Dua. L’Indonesia prendeva forma nei mercatini, tra la sporcizia, sotto i cavi elettrici e il traffico di motorini: praticamente un fiume ininterrotto con una scia di smog.
Il bancomat era dentro una specie di container trasparente, una scatola di vetro, presidiato da un uomo della sicurezza. Era praticamente un fornetto, 40 gradi, e la luce diretta sullo schermo. Non vedevo niente. Ho iniziato a sudare come un vitello che viene portato al mattatoio. La guardia mi ha passato alcuni fogli di scottex, ha acceso un ventilatore che ha cacciato aria ancor più calda. Mi ha anche assistito con il prelievo. Se non potevi fidarti della tua guardia del corpo? Mi sentivo molto come la fu Whitney Houston. Di stazza sicuramente.
Prelevato quel milione e mezzo di rupie, circa cento euro, ho riposto quella montagna di soldi nel borsello di Mater. Mi sono ricomposto, ho deterso il sudore dalla fronte e ho ringraziato la body guard con inchini sempre più profondi. Grazie, thank you e non so quale altra formula.
Uscito dal bancomat, quasi sono precipitato sul marciapiede. Mater era molto divertita. Passeggiamo ancora tra gli scarichi dei motorini. E poi la disgrazia. Ci fermiamo davanti a un salone di bellezza. Suggerisco a Mater, mannaggia a me, di farsi fare la pedicure. Non appena saputo del prezzo, quasi 4 euro, si fionda dentro e sprofonda in una poltrona. Viene coccolata dalle ragazze della spa. Sorrisi, abbracci e massaggi. Dalla pedicure al trattamento all inclusive – mani, piedi, smalto e massaggio – il passo è stato breve. Mi sono seduto sconsolato nei gradini esterni del negozio e ho aspettato in trepida attesa che finisse. È uscita dopo ben due ore. Io ero disperato.
Ormai era il tramonto, le luci erano soffuse, la nebbiolina restava lì in mezzo al mare, la gente si godeva del mare, del suo respiro appiccicoso, dolciastro. C’era chi grigliava, chi semplicemente fissava il mare, chi non finiva di farsi selfie.
Il buio è calato in un attimo. Mater con le sue unghie perfette, pittate di smalto rosa, fosforescente, si sentiva in paradiso…