L’escursione ai templi più celebri di Bali era imperdibile. Mi sarei accontentato di uno solo, a scelta del driver Giuseppe, ma lui mi aveva assicurato che sarebbe stato possibile visitarli entrambi nello stesso giorno.
Siamo partiti alle 7,30, era molto presto. Devo dire che siamo riusciti a superare la conurbazione di Denpasar in tempi ragionevoli. Infatti, già alle 9 eravamo davanti al tempio madre di Besakih, forse uno dei più belli di tutta l’Asia.
Le recensioni poco entusiastiche che avevo letto si sono rivelate accurate.
Arriviamo praticamente in montagna, ai piedi del vulcano Batur. Speravo di trovare solo natura selvaggia ma in realtà fino all’ingresso, c’erano abitazioni e il solito brulichio di negozi e motorini. Praticamente si respirava la stessa aria di Denpasar ma si era un po’ più in alto. Il tempio sembrava il Santuario di Oropa per la sua posizione.
Peccato che ci avessero costruito due immensi parcheggi proprio all’ingresso, due parallelepipedi di cemento armato, multi-piano, affacciati sulla vallata. Una cosa inguardabile, peggio del parcheggio del Valduce.
Alle 9 erano praticamente deserti. Il Giuseppe l’ho visto spaesato. Gli volevo dire che è lì il parcheggio, ce l’hai davanti. Lo so che in Indonesia queste cose sono rare, ma esistono. Entriamo con fatica, prezzo abbordabile. Parcheggiamo nello stallo accanto a un’ambulanza.
Abbiamo fatto la solita trafila al ticket counter. Ti mettono il braccialetto, ti scannerizzano il QR-code del biglietto e sei pronto ad entrare. Tanta tecnologia per poi ritrovarsi nel terzo mondo. Ovviamente pareo d’ordinanza. Mater voleva fregarlo. Aspettiamo il trenino che ci porta su in cima al cancello di ingresso del tempio. La guida è compresa: un vecchiettino senza dita alla mano, denti gialli, e un inglese incomprensibile.
Arriviamo alla porta, notevole, con una lunghissima scalinata. Per 3.000 rupie ti facevano la foto suggestiva con lo specchietto di modo tale da sembrare sospesi, fluttuanti nell’aria. La coppietta di turno non solo si è fatta una foto ma una decina. E che palle! E prendetevi le mani, e giratevi spalla contro spalla, alzate le braccia a formare un cuore, e datevi un bacio. Il mio odio è schizzato alle stelle. Volevo scaraventarla giù dalla scala. Mi sono trattenuto. Altro che bacetti poi.
Tutt’attorno una pletora di questuanti. Bibite fresche, signore. Cartoline per poche rupie. Ventagli per tua moglie (sì, moglie! Sic!). Ti seguivano appiccicati al pareo. I veri maestri di zen erano i gatti e i cani: catatonici, inamovibili, incollati alle statue. Potevi calpestarli che non si sarebbero mossi.
Mater l’ho parcheggiata tra le questuanti e ho chiesto a Giuseppe di proteggerla. Io ho fatto il giro del tempio, un rettangolo lungo e stretto perché dentro non si poteva entrare. Ma andate a quel paese. E come se pagassi il biglietto di entrata al duomo di Milano e ti facessero fare solo il giro esterno.
Tutto molto bello per carità ma anche tutto precario. I vialetti rabberciati alla ben e meglio, tegole che a momenti ti cadevano in testa, crateri che si aprivano sotto ai tuoi piedi.
Il giretto è durato mezz’ora. Ho recuperato Mater che non ha fatto danni nel frattempo e siamo tornati.
La guida ovviamente ci ha chiesto il pizzo, benché tutti i cartelli informassero che niente era dovuto a loro. Ci credo con quel che costa il biglietto. Gli ho mollato il centone rosso ma per togliermelo subito dalle palle e non volevo passare per il pezzente. Così era stato consigliato da tutte le recensioni.
Siamo scappati dal cubone di cemento del parcheggio puntando verso nord. Giuseppe ha avuto seri problemi a trovare l’uscita. Giuro. Gliel’ho mostrata io indicando un cartello con su scritto E X I T
Dopo pochi chilometri, ho intravisto il lago. Speravo che Giuseppe si fermasse per farmi fare due foto. Ma era insensibile al mio spirito ecologista ma soprattutto al mio grido -The Laaake-. Non ho potuto fare nessuna foto. Peccato.
Stavamo chiudendo l’anello del giro, quando Giuseppe si ferma alla bancarella della frutta. Doveva per forza comprarla lì, sulle alture di Bali, mica a Dempasar? Ma cucù, non potevi farmi vedere un po’ di natura? Niente, de nada.
Arriviamo al secondo tempio, il Tirta Empul, altra trappola mortale per turisti. Questa volta molto piccolo. Potevi farti il bagnetto purificante ma Giuseppe non ha dato segni di approvazione o incoraggiamento così ho desistito. Lui è cattolico e non gli interessa nulla dei tempi buddisti. Peccato, una purificata me la sarei data. Non avevo con me il Badedas ma il bagno l’avrei fatto lo stesso.
Ieri proprio non riuscivo a trovare riscontro nel Giuseppe. Pazienza.
Infine, ci siamo fermati al risaia terrazzata di Tegallalang. Posso dirlo? Una terronata pazzesca. Sì, carina l’idea iconica del posto, ma assolutamente falsa e posticcia. Un luogo dove i turisti credono di entrare nella natura ma alla fine è una gardaland inguardabile. Poi, tra l’altro, c’erano tutte le trovate per far soldi: l’altalena che ti proiettava direttamente nel mezzo della vallata, la zip line per farti provare l’emozione adrenalinica di volare, le mille altre buffonate.
O si sta in mezzo alla natura oppure no. Ma visto che la natura se la sono appropriata tutta… il risultato è questo.
Me ne sono scappato dopo aver mangiato il tramezzino, frastornato dal rumore, dal casino di auto, dalla pagliacciata di quel posto.
Ed era il terzo posto, non dico brutto ma reso irriconoscibile, dove non si vedono nemmeno le caratteristiche peculiari di un posto. Siamo tornati, ovviamente passando da Ubud centro nevralgico di tutta Bali, del casino insopportabile, dell’entropia totale.
Ho chiuso gli occhi e mi sono addormentato. Non mi è mai successo ma ieri ero particolarmente stanco. Non reggo più il fuso orario e 7 ore sono proprio tante. Mi dispiace per Giuseppe con il quale non ho trovato molto feeling ma io volevo una cosa e, consapevolmente, me ne sono ritrovata un’altra.
Se si fosse fermato a farmi fotografare il lago dall’alto, probabilmente lo avrei perdonato e avrei fatto pace con me e con i miei sentimenti contrastanti nei confronti di quest’isola.