Durante la notte è finalmente arrivata una pioggia abbondante. Dopo quasi due settimane di siccità, un acquazzone si è abbattuto su di noi.
Sono scese le prime gocce mentre eravamo a cena nel giardino. Poco dopo, un diluvio monsonico si è scatenato. Poverini quelli del resort che dovranno asciugare chissà quante sedie, tovaglie e tutto il resto.
Fortunatamente, la pioggia è iniziata alla fine della cena. Mi aspettavo che saltasse tutto, che ci fossero scintille tra i circuiti di mille valvole, tra le stelle sprinta e va, ma invece non ci sono stati danni.
Durante la notte, meglio per noi, la pioggia è scesa in modo torrenziale.
Ieri mattina ci siamo trovati un tempo incerto ma tendenzialmente bello. Ne abbiamo approfittato per tornare alla spiaggia di Pandawa Beach, che avevamo visto con il tassista Krisna, quello che non aveva stoppato il tassametro, perché non faceva caldo.
Questa volta ci siamo fatti portare direttamente in spiaggia. Lungo la strada, alcune zone erano allagate e diversi alberi erano caduti. Ma niente di catastrofico. Solo un po’ di allagamenti qua e là.
Per accedere alla spiaggia, devi pagare un obolo di ingresso a una specie di casello autostradale situato in alto. Ok anche se la cifra è irrisoria, ci si aspetta che sia pulita e mantenuta in ordine.
In realtà, c’era sporcizia ovunque e il sentiero pavimentato era un urlo alle giunture. Stavano in verità sistemando, ma con poca convinzione. Nessuno si preoccupava di togliere le alghe in modo sistematico. Anzi, le spazzavano, ributtandole di nuovo in mare. Le mattonelle erano invase di sabbia, sarebbe bastato poco per pulirle.
Gli ambulanti ci invitavano alle loro bancarelle. Non c’era molta gente, una nebbiolina aleggiava sulla baia e si arrampicava sulle scogliere. La spiaggia di Pandawa è lunga e stretta, in pendenza. Se non stavi attento, rischiavi di trovarti in Australia se non stavi attento. Mi immaginavo questo posto nel pieno casino di turisti, dove facevi fatica a muoverti e sgomitare per passare.
Due pullman hanno scodellato un numero considerevole di ragazzetti proprio lì sul lungo mare che si sono sparsi in giro dilatandosi come una macchia. Tutti a fare i selfie, a fotografarsi nelle pose più assurde. Le ragazzette con il velo mi facevano sentire caldo solo a guardarle. Sembravano studenti.
Ho percorso il lungomare fino alla scogliera. Il cielo era nuvoloso ma con ampi squarci azzurri. La parte non toccata dall’uomo era aspra, il mare era rabbioso e schiumava contro le rocce. La nebbiolina si alzava. Mi sono seduto su una roccia, lontano da tutti, mentre Mater era a curiosare tra le bancarelle – non poteva fare danni -, e ho goduto del mare, di quel mare di inverno, sapendo che non lo avremo più visto per un po’.
Alle 11.30, il cielo si era schiarito e la spiaggia con una quantità di turisti esagerata, decidiamo di tornare. Tiro fuori l’app dei Blue Birds. Ne trovo uno nei paraggi. Mi chatta subito dicendomi che avremmo dovuto presentarci su al casello. Ma non ci penso nemmeno. Mia madre non può affrontare quella salita piedi. E poi perché mai? Perché c’è il trasporto locale. E quindi?
Che rabbia. Non era solo per la strada, ma per la pendenza, per la fatica che avrebbe dovuto fare. Nel piazzale del parcheggio, ovviamente nessun taxi. Dico a Mater di fare uno sforzo. La condisco via, le dico che in fondo la strada non è molta, solo la pendenza è quella che è.
Piano piano, con coraggio e stoicità, in silenzio, abbiamo affrontato il salitone. Che in fondo, non era poi così male perché costeggiato da numerose piante di frangipane profumatissime. Peccato per il sole che ha deciso di farsi sentire proprio allora. Quasi in cima, Mater perde la pazienza. Mugugna. Incomincia a minacciare tutti, anche la coppietta che si fa i selfie dalla balconata. Vuole chiamare la polizia, si sbraccia alle auto che salgono. Cerco di contenerla prima che faccia danni. Manca pochissimo. Arriviamo al casello, chiamo un taxi ma non ce ne sono in giro. L’app continua a cercare. Ma come? Siamo in una delle spiagge più famose di Bali e non c’è uno straccio di taxi? Monta anche a me la rabbia.
Possibile che non ci sia un taxi, ma soprattutto uno che scenda fino alla spiaggia. Solo perché non vogliono pagare il ticket? Dopo venti minuti, ormai sconsolati, si ferma un truzzo e ci chiede se vogliamo un passaggio. Non so chi sia, ha un macchinone bianco. Ha tutti gli Arbre Magic sul parabrezza. Sembra un truzzone. Gli chiedo a bruciapelo quanto vuole per andare al Club Med, mi chiede il centone rosso. Ok, onesto. È il suo prezzo. Saliamo. Il Tupac indonesiano si prodiga nell’aiutare Mater. Sembra un bambinone un po’ troppo cresciuto e parte a razzo. Non sgomma ma poco ci manca. Affronta i pezzi di strada alluvionati, infilandosi. In fondo si diverte come un pazzo. L’acqua schizza dappertutto. Ma puoi? Temo che sia in giro per la festa di Halloween. In realtà in pochissimo, ci porta sani e salvi davanti al Club Med. Addirittura, al controllo di polizia, lo lasciano passare senza nemmeno controllare il bagagliaio. Meglio così, chissà cosa avrebbero potuto trovare. Gli sgancio il centello e lui si inchina mille volte ringraziandomi. Fa scendere Mater e riparte con uno stridore di gomme. La SicurIndonesia lo guarda per dire… So’ bambini, che ci puoi fare?