Non ci rimaneva che Denpasar da visitare. L’abbiamo circumnavigata in lungo e in largo, abbiamo percorso i suoi vialoni ma la città, intesa come city center, l’abbiamo ignorata proprio.

Ho cercato ovunque, su Google, su Tripadvisor e altri siti, cosa fare a Denpasar ma tutti rimandavano a luoghi fuori dalla città.

Denpasar è talmente schifata da tutti, che persino il Club Med offriva un’escurione con un eccezionale sconto del 20%.

Era davvero così insignificante?

Ho preso come scusa il giro alla cattedrale di Denpasar, situata proprio nel centro, vicino al monumento principale. Più di così?

Questa volta, il nostro autista era Giovanni, di carnagione scura e capelli crespi, sicuramente non balinese. Le sue uniche parole sono state per dirmi che proveniva da Timor, proprio sul confine con la Papua Nuova Guinea, unico confine terrestre tra Asia e Oceania. Per arrivare a Bali, di solito impiega 70 ore e fa un giro complesso. Aggiunge infine che anche lui è cattolico. Fine della chiacchierata. Entrati in autostrada, si chiude in religioso silenzio e non spiaccica parola.

Pazienza. Entriamo in città, non ci sono viali che portano al centro. Usciti dalla circonvallazione, ci addentriamo in questo dedalo di stradine tortuose. Grazie a Google riesco a trovare i punti di riferimento, altrimenti non riuscirei ad orizzontarmi.

C’è il mondo intero nelle stradine. Cani, galline, motorini, ristorantini, fogne a cielo aperto, venditori ambulanti, banche e sportelli automatici, templi in cui l’incenso evapora dai bastoncini. Tutto sotto frondosi alberi. Marciapiedi dissestati.

Denpasar non ha un centro storico, né una ztl, né una cinta muraria. È rettangolare come una tovaglia. Arriviamo alla cattedrale in una zona tranquilla ma centrale. Non ci sono auto, né rumori. C’è un piazzale, e il mondo di Denpasar sembra fermarsi lì, come se fossimo in un quartiere periferico di Milano sud.

Giovanni si anima. Ci dice che ci aspetterà. Gli dobbiamo solo mandare un messaggio e lui sarà pronto. Mi fa quasi tenerezza. Non voglio fissare un orario, chissà che Denpasar non riservi sorprese!

La cattedrale è in mattoni rossi, in stile balinese, gotico, con una quantità impressionante di statue bianchissime quasi accecanti. A prima vista sembra un tempio induista, ma c’è la croce sul campanile.

Entriamo nel compound, accolti da tanti inchini, parecchi salamelecchi: benvenuti alla chiesa cattolica, buongiorno, italiani. Il sagrato è ancor più silenzioso della piazza. Ci obbligano a indossare il sarong, una tovaglia bianca. Sembra più un grembiule da sauna. Potevano darceli colorati.

Sotto il portico, due statue di Gesù e Maria, che sembrano provenire più da un medioevo europeo che asiatico. L’interno della cattedrale è favoloso, con pietre intagliate e statue. C’è una profonda armonia tra induismo e elementi cristiani. Mi perdo meravigliato ad ammirare ogni dettaglio.

Un signore ci saluta con il baciamano. Sconvolto. Il suo inglese farfugliato, frammisto a parole indonesiane, è sostanzialmente incomprensibile. Sull’altare ci sono punti ben precisi dove fare le foto. È un must. Ci sono le frecce ad indicarci l’esatta posizione dove mettersi. Ancor più sconvolto.

Mater parte in tromba sull’altare. Il perpetuo la rincorre. Io la richiamo per evitare di completare l’eresia e di fulminarci seduta stante. Ci facciamo le foto di rito. Il perpetuo mi prende il telefono a pare ispirato. Wonderful, perfect, wow. Mi viene da sorridere. Conciato come sono, non posso permettermi troppa ilarità.

Usciamo, peccato che non ci sia la messa, altrimenti chissà lo spettacolo. Facciamo un giro attorno alla chiesa intitolata al Santo Spirito. Il cielo azzurro contrasta perfettamente con i mattoni rossi. Ci congediamo senza avere alle spalle il mastino del sacrista che ormai non si fidava più di noi dopo la profanazione dell’altare.

Usciamo e ci portiamo al monumento principale e unico di tutta la città. Si trova a pochi metri. Ha la forma di un quadrato ed è circondato da tre mura. Una specie di castello Sforzesco circondato da un pratone. È un monumento importante, alla resistenza e alla libertà, alle lotte del popolo balinese di essere libero dal colonialismo olandese e inglese. È tutto in pietra nera, si erge come una guglia ed è decorato dalle statue della religione induista. Sotto di esse un qr-code per sapere la loro storia. Lascio Mater su una panchina tra il vociare di una scolaresca e alcuni balinesi annoiati a pensare cosa fare della propria vita.

Salgo quel migliaio di scalini, la chiocciola centrale, e arrivo su in cima. C’è la visuale a 360° della città. Non si notano costruzioni particolari, a parte quello della cattedrale. Si può ammirare una lunga sequenza di tetti rossi e nient’altro. Non si nota nulla della planimetria della città.

Scendo a tuono, travolgendo alcuni bambini della scolaresca. Devo recuperare Mater prima che faccia disastri. Arrivo trafelato, completamente inzuppato. Lei, bella tranquilla, sta facendo delle smorfie ad una bambina piccola tenuta in braccio dalla madre.

Ritorniamo alla cattedrale e ritroviamo il tassista esattamente dove lo avevamo lasciato. E con Denpasar ho chiuso definitivamente.