L’aeroporto LF Wade di Bermuda è nuovissimo, o meglio il suo terminal, inaugurato poco prima del Covid. Hai i marmi lucidissimi, le pareti ancora bianche. Esco dall’aereo con mio grande sollievo, non ne potevo stare più con Tatiana… Un incubo. L’aria calda, dolciastra quella tipica delle isole caraibiche mi colpisce le narici prima che mi avvolga il fresco dell’aria condizionata.

Respiro a pieni polmoni e mi dirigo al controllo. Minuziosissimo. Rallentato dalle migliaia di persone che non avevano ancora compilato il modulo di entrata. Ma farlo prima? Io sono l’ultimo della fila. Una processione lenta. Ma stiamo entrando in Bermuda, mica chessò io… Dovrebbe essere un volo nazionale. No?

La poliziotta acidissima, prima che mi cazzi, le mostro sul telefono il modulo compilato. Apriti cielo, santa donna, cosa non va? Poi col passaporto italiano che ne vedono uno ogni 5 anni… Figurati! Lo sfoglia dalla prima all’ultima pagina, controlla il mio modulo, telefona non so a chi. Acidissssima. Ma ti faccio conoscere quello di Linate, così potrebbe nascere un’affinità sentimentale.

Non mi domanda niente. Digita furiosamente sulla tastiera con le unghie lunghe 5 centimetri. Alla fine mi stampa il passaporto e con un sorriso mezzo forzato mi fa passare. Oh, cretina… Il finanziere, una volta raccolta la valigia mi chiede perché Bermuda? Per una vacanzina, lunedì torno, giurin giuretta. E mi lascia passare. Finalmente. Ecche ci voleva?

La luce crepuscolare mi accarezza gli occhi, il terminal completamente vuoto. Il tassista che si affretta a prendermi. Oh, Italia? Bella Italia… Vuole sapere che squadra di calcio tifi. Adesso ti do un calcio e la smetti. Vai a Warwik? Ci abito lì, conosco la proprietaria, ma perché non hai chiamato il numero che ti ha lasciato. Oh, senti, mi porti all’albergo e basta. Chiude i finestrini. Intuisce il mio nervosismo. Vuole che li abbassi? Certo, cretino… Dopo sette ore in cui mi è mancata l’aria con la mia amica Tatiaaaana… Ok, metto la faccia fuori dal finestrino. Annuso l’aria salmastra, guardo il mare. Il driver incomincia con la sua guida sportiva e rimane attaccato al telefono… La strada è strettissima. Ci manca che facciamo un incidente…

Arrivo stremato, sono cinquantacinquo dollari. Fa il figo, mi viene voglia di dargli una sberla. Invece gli do la carta. No, solo cash. E cavoli tuoi. Non siete così avanti in Bermuda? Allora mi porta al Bennet in fondo alla collinetta. Faccio in frettissima, anche perché il tassametro continuava a girare. Alla fine mi sconta 5 dollari… e accetta solo una banconota da 50. Stica… E sparisce.

Così dopo essere tornato al Bennet per prendermi qualcosa da mangiare, mi fiondo in camera e dormo sonoramente. Mi alzo alle 7, il cielo è sereno. Cosa fare? Devo andare a prendere un motorino. Ne ho bisogno come l’aria. No la bicicletta no. E mi porto ad Elbow, due chilometri e mezzo. Un massacro, sono sudato, grondavo. Nonostante l’aria fresca. L’uomo del motorino mi fa il tutorial su come mettere il casco, come accendere e come spegnere, come posteggiarlo. Il pulsante del clacson, delle frecce, delle luci abbaglianti… Mi sembrava di essere in autoscuola.

Esco rombando a tuono, zigzagando, incertissimo nel fare la prima curva a sinistra e in salita. Poi mi assesto e sembra facile. Mi porto alla spiaggia, la Elbow. Bellissima, poca gente. Chi c’è sta correndo. Mi perdo, mi guardo attorno per sentire il mare. Riprendo il motorino, sempre con quel fare incerto. Mi porto a Sud, prima alla famosissima Horseshoe bay. Un po’ terronica all’inizio con sdrai e ombrelloni e musica tunz a palla. Una specie di Ibiza ma si stempra subito. Dopo pochi metri è tutto naturale, il mare rabbioso si infrange sulle rocce con forza. La sabbia, letteralmente borotalco si lascia andare via… I pescetti non si contano. Le rocce e le scogliere aspre sono bellissime. Mi perdo, mi faccio il bagno, senza allontanarmi troppo. Il mare è infido ma stupendo… Faccio il pranzo e mi porto nella parte estrema del Westend. Mi fermo al faro e poi in ogni baietta che incontro lungo il cammino. Col motorino è facile, lo caghi dove vuoi. A nord il mare è incantevole. È una tavola piattissima, come non buttarsi… E aspetto che arrivi la sera, con il traffico dell’unica strada che ti assilla, che non ti considera perché sei un motorino. Ho l’ansia e sono pure sudato. Il casco in testa di certo non aiuta…