Bermuda è grande come l’isola di Ischia. Prendi un mattarello, spianala. E poi con le dita arrotoli quel rimane in un grissinello allungato.

Questa volta sono andato a Est, verso l’aeroporto. Cielo incerto alla mattina. Un grosso nuvolone minaccioso incombeva sull’isola. A me stava bene perché l’aria era fresca. Parto, mi dirigo giù per la collina. Sono a velocità folli, ormai un provetto guidatore di motorini. Porco giuda, il gallo fermo allo stop, non l’avevo visto e quello proprio non voleva saperne di muoversi. Inchiodo con entrambi i freni con uno stridio acuto. Evito lo schianto, prima di ribaltarmi. Lui saltella beato fuori dalla traiettoria del mio motociclo. Sono costretto a mettere i piedi sull’asfalto per non finire a terra. Svolazza qualche piuma. Per ora siamo salvi. Il gallo si volta indietro e mi guarda con fare minaccioso. Io col cuore in gola… Pensa un po’ che debba schivare pennuti in giro per l’isola…

Stronzo di un gallo! Così per ripigliarmi, mi fiondo al Bennet. Due tartarelle alla mela e latte nesquick. Qui bisogna arrangiarsi. Non ci sono patisserie e cose del genere. Mi calmo nel fresco del Bennet e poi riparto. Arrivo in prossimità di Hamilton, il Sant’Anna, o meglio il Bermuda Hospital Board si staglia imponente alla fine della strada. È un grosso ospedale, d’altronde, non possono fare altro. Non puoi teletrasportare i pazienti in America o in Uk. L’oceano incombe.

Poco dopo il Botanical Garden, proprio attaccato all’ospedale. Proprio come alle Seychelles. Entro giro per i vialetti, è gigantesco. Non trovo l’ingresso, scorazzo in giro cercando di orientarmi, ma alla fine non trovo nessuna biglietteria. Tempo di aver infranto non so quante regole ed essere entrato in zone inaccessibili, ma chi se ne frega. Almeno me lo sono visto tutto.

Riparto sempre più ad est. L’isola diventa più sottile, campi e campi con il verde immacolato da golf. Ti ci viene da rotolarsi. È tutto immacolato, non un filo d’erba fuori posto. Se il golf riesce a far questo, ben vengano questi campi sterminati. Arrivo ad una spiaggetta, che non mi aspettavo, piccolina, rotonda, la sabbia da poco sistemata. È completamente vuota. Ma la Baywatch è lì sulla torretta prontissima a salvare chissà chi. Mi saluta calorosamente. E ci credo, non c’è nessuno.

Mi porto di nuovo verso ad est, dove l’isola si sbriciola in tante isolette. Come la costa della Norvegia. Mi pregusto il paesaggio. Mi blocca un vecchietto arzillo nella portineria del resort. Mi spiace, è privato, ho ordini di non far entrare nessuno. Lei da dove viene? Italia. Ah, parente nel Veneto, vista Italia, Napoli… Mi piacerebbe vedere il vaticano, ma non sono cattolico, ma un grande fan di Pope Francis. E io a ronfare. Mi lasci, vecchiardo, con l’umore a terra per non riuscire a vedere la parte più spettacolare dell’isola?

Riparto, cerco la jungla ma è tutta una serie di cartelli minacciosi. No trespassing, you will prosecuted… Ho capito, state calmini. Riccastri balordi. Le Bermuda fanno sembrare gli svizzeri dei poveri accattoni.

Mi ritrovo senza saperlo alle grotte di Cristallo. Immagino Saylor Moon con la sua bacchetta. Mi scoccia spendere 24 dollari ma è così, non puoi non vederle. Mi accodo in fila, con tanto di cinturino fucsia per vederle. Le vecchie babbione ridono, camminano a stento. Immagino fare gli 80 gradini in discesa. Si aggrappano al fusto creolo, a momenti perdono la dentiera.

Ok, le grotte molto carine, ma lunghe meno di 50 metri. E mi fai pagare 24 dollari? Ma voi siete fuori. Ma dai almeno era interessante. Mi dirigo così sull’isola dell’aeroporto. Prima faccio benzina al motorino. Tre ore per cercare il tappo. Altrettante per aprirle. Il benzinazio non mi caga. Alzo la pistola verde per chiedere se è quella giusta. Metto la carta. Non so bene che cosa mi chieda. Mi giro e grido al benzinaio: heeeeeeelp me con fare preoccupato. Si fionda da me. Mi consola. It’s so simple. Full? Boh, non so, lei metta un po’ di benzina. Mi guarda sconsolato. Prendo 10 dollari in moneta. Ma ha già pagato con la carta. Ah, sì, ha ragione. Mi guarda sempre più preoccupato, soprattutto quando parto in modo incerto zigzagando tra le auto in sosta.

Dal ponte dell’aeroporto il mare è magnifico. Azzurro, verde acqua marina mi circonda. Trovo una rientranza. Salgo quei tre mattoncini messi come trespolo e mi sento molto in Titanic. Uno spettacolo commovente. Non oso andarmene via. Ma mi faccio coraggio. Parto a razzo seguendo la pista dell’aeroporto fino in fondo. E arrivo alla Cooper island. Un vero paradiso, senza case, verde, pini marittimi e spiagge una più bella delle altre… Un paradiso. Ad ogni caletta mi faccio il bagno.

Alle 16, non vuoi fare un salto a San Giorgio? La seconda città dell’isola, patrimonio Unesco. Arrivo, passando dal ponte “debole”. Giuro è scritto così sul cartello. Ma puoi? Spero che regga il mio leggiadro pesa. Arriva lo sciacquone, me lo prendo tutto, rinfrescandomi. Giro per la piazza, ci sono dei tipi poco raccomandabili, si respira aria caraibica. Finalmente… E mi fiondo su una panchina a rinfrescarmi con una granitona…