Dopo essere saliti sull’altro aereo, finalmente ci siamo rilassati. Peccato che fosse pieno come una scatoletta di tonno. A momenti non si poteva respirare e tutti che tossivano. Sembrava di essere in un lazzaretto. Aereo con la livrea della Star Alliance, anche questo un A320 scomodissimo. Alle 21 partiamo, non riesco a vedere niente, perché non sono al finestrino. Poco male, posso alzarmi in corridoio e passeggiare.
Attendo con fiduciosa eccitazione che arrivi la mezzanotte ora italiana. Nel frattempo ci danno da mangiare. Un piatto di ravioli con besciamella, insipidi lontanamente paragonabili a quelli di Giovanni Rana o dell’Esselunga. Ma avevo tanta fame che ho ingurgitato tutto. Appena in tempo che abbiamo preparato tutto l’occorrente per il brindisi. Incastrato tra i sedili non si poteva far di meglio e ad ogni movimento della panza rischiavo di far cadere tutto.
Ho fatto il video col timore di rovesciare la coca-cola sui sedili. La pastela de nata era buona e fresca. Anche altri hanno fatto lo stesso, tirando fuori le ghirlande e registrando video. Almeno non ero il solo.
Ho provato a festeggiare di nuovo alla seconda mezzanotte, ora di Lisbona, ma le luci erano spente. Il buio più totale e il silenzio tombale aleggiavano su di noi. Nessun annuncio, a nessuno interessava festeggiare. Ero il solo. Ci ho rinunciato. Anzi mi sono alzato e devo dire di aver visto le luci di Santa Cruz de Tenerife da una parte e Las Palomas di Gran Canaria dall’altra. Ecco, non avrò festeggiato in modo canonico ma almeno sono riuscito a fermare il tempo e a fissare un bel ricordo.
Per la terza mezzanotte, ora di Capo Verde, ci ho rinunciato. Anche perché eravamo in prossimità dell’Isola di Sal. Stranamente l’aereo non scendeva, non capivo dove ci trovassimo. Si vedevano ogni tanto delle luci, e non potevano che essere di Santa Maria. Boh. Ero ansioso di toccare terra, anche perché eravamo già a 4 ore preventivate dal piano di volo.
E scendi, atterra, tocca il suolo! Alle mezzanotte e mezza, finalmente tocca la pista. Tutti giù di colpo, come se l’aereo fosse imploso e ci avesse espulso.
Aria di mare, salmastra, afosa, leggera brezza. Le stelle. La sagoma dell’aereo ci proteggeva. Sembrava di essere in un set di un film. In aeroporto ci siamo stati pochissimo. I primi bagagli erano i nostri, almeno a Malpensa hanno fatto un buon lavoro. Il controllo passaporto è stato semplicissimo. Lo abbiamo passato sullo scanner e le porte si sono magicamente aperte. Per forza, avevo già compilato i moduli on line sul sito ease, che non è stato per niente easy e avevo già pagato i 30 euri di pizzo a testa. Marcioni.
Mi trovo nella hall degli arrivi, una stanzetta minuscola che non avresti mai detto di un aeroporto. Un gruppo di creoli ci mostrano un cartello. Sembravano pronti a proporci il campionario di bamba. Il mio nome non l’ho trovato, riguardo bene una seconda volta. No, non c’è il mio nome. Prendo il primo taxi dal più insistente. Non oppongo resistenza. È tardi, Mater è mezza addormentata. Non mi faccio domande. Questo parte, musica raggae a palla, rasta al vento, i finestrini rigorosamente giù. La strada principale è un tratturo. Allegramente prende tutte le buche come se fosse scontato. Sobbalziamo come dei fantocci. Arriviamo a Santa Maria stremato, distrutto. Mater è in preda ad una crisi isterica. L’albergo era quello sbagliato. Ma per dircelo siamo stati lì mezz’ora. In tutti paesi del mondo la cosa sarebbe finita in tre secondi. L’idiota receptionist prima di capirlo ha fatto trentamila chiamate, ha spulciato negli archivi storici di mezzo Capo Verde. Ma che ci voleva rimbambito? L’albergo era a cinquecento metri più in là, questo era il Riu Santa Maria, il nostro il Riu Capo Verde. Ma che ci vuole? Intanto il tassista si è volatilizzato. Abbiamo dovuto chiamare un altro che per 5 euro, ci avrebbe accompagnato nell’altro albergo. Ero sclerato. Ho tirato giù tante di quelle parolacce. Ma come si fa? Albergo di cinque stelle. L’altro taxi aveva nel baule l’intero stock di un brico center. Ho dovuto tenergli su il portellone altrimenti se lo avrebbe trovato sulla crapa.
Cinque euro per cinque cento metri. Finalmente nel albergo giusto, altra mezz’ora per fare il check-in. Ma santo dio, che cosa ci vuole? Avete tutti i dati, i numeri del passaporto. Mi sembrate impediti. Ma la cosa peggiore, che ci siamo dovuti trascinare le valigie dalla reception alla camera, passando metà resort, completamente al buio, con una musica tunz in lontananza.
Ecco perché non volevo venire a Capo Verde. E ne ho avuto la conferma. Il resto alla prossima puntata