Dopo la giornata di ieri in cui sono riuscito a vedere l’isola nella sua interezza, e penso che rimarrà la sola in questa vacanza, mi sono rinchiuso nel mio paradiso dorato a cinque stelle. Un peccato perché avrei voluto esplorare di più, fermarmi in certi posti e stare a passare giornate intere. Ma è così a Capo Verde.
Oggi c’è stato un cielo terso, azzurro, i colori erano vividi come non mai e il venticello mitigava il calore del sole. La piacevole brezza ci ha accompagnato per tutto il tempo. Abbiamo deciso con Mater di andare al villaggio di Santa Maria. D’altronde è l’unica possibilità e cosa da vedere. Ci siamo incamminati per la solita strada su cui si affacciano tutti i resort fino al paese.
Mater è partita con l’intento di fare compere e quando si mette in testa queste così non la puoi fermare. Infatti abbiamo visitato tutte le bancarelle. Io non ci provavo in alcun modo a seguirla. Entrava, stava delle mezz’ore e ne usciva sconsolata. Così per quella ventina di negozi. Tanto capiscono l’italiano non c’era bisogno certo del mio inglese.
Quando ha visto la chiesa principale aperta, si è fiondata all’interno e ha fatto il giro del presepe, a grandezza naturale. La potevi lasciare lì, felice come una bambina. Soprattutto quando ha incontrato il prete, un creolo sui 60 anni, vestito di nero con il rosario al collo. Era in mezzo alla strada, lo ha fermato, gli ha parlato in italiano come se fosse scontato che lo capisse. Mi guarda con il terrore negli occhi: gli leggo ma questa pazza cosa vuole?
Me lo dice in portoghese e poi in francese, l’unica lingua che sapeva. Voglio nascondermi, poi gli spiego che è mia madre e quando vede una figura in abito talare lei non riesce a trattenersi. Allora le stringe la mano, si abbracciano. Mater parte a raffica, il prete non riesce a seguirla, allora piano piano la smuovo lungo la strada dei negozi e salvo il povero prete dell’igresia di Santa Maria.
Dopo aver fatto tutto il corso, Mater si stupisce che fosse finito il paese. Le faccio notare in quanti negozi era entrata e non aveva concluso nessun affare. Ci portiamo nella stradina adiacente. C’è un bazar, nemmeno tanto grande, ma sembrava un souk con corridoi stretti e la mercanzia esposta ai lati. Un posto claustrofobico, chiuso da un tetto di lamiera. Ogni tanto i piccioni facevano capolino da qualche fessura. Venivano gettate per terra delle briciole di pane. Se fosse intervenuta l’ATS dell’Insubria, garantita la chiusura.
Riesce a prendere qualcosa, strappando il prezzo fino all’osso, sfidando la furbizia dei creoli. Esce trionfante con la borsa degli acquisti. Io mi sento finalmente libero. La cosa più difficile della vacanza è stata portata a termine. Ci portiamo sul lungo mare, passando dal giardino di un resort.
E mi ritrovo nel paradiso. Santa Maria in sé non è bella, giusto una cittadina vacanziera, ma il suo lungo mare ha un qualcosa di affascinante, di esotico. Davvero sembra di essere sulla costa di una cittadina d’Africa, dove il disordine, il mare e la spiaggia sono un tutt’uno. Mi guardo attorno, il mare ha mille sfumature dal blu intenso al verde smeraldo. Le onde si infrangono, non sono rabbiose. La spiaggia dorata, infinita, il pontile. Non riesco a staccare gli occhi da quel posto. E mi tuffo, e mi immergo nelle gelide acque dell’oceano atlantico, mi purifico, sento che tra me e il mare c’è solo l’azzurro del mare.
E così piano piano, evitando di prendere il taxi, ci portiamo al resort dove ci chiudiamo per il resto della giornata…