L’esperienza del nuovo resort ci delude, il confronto con l’altro è davvero impietoso e passiamo tutto il giorno del 6 a fare paragoni. La stanza, proprio di fronte all’impianto rumoroso di desalinizzazione dell’isola, sebbene ampia e spaziosa, è messa male. Anche il gatto che abbiamo trovato sul balcone non sembrava messo meglio, col muso infiammato. Tutto il complesso necessita di cure e migliorie. Il personale non ti saluta, è lacunoso, è assente. Per arrivare al mare, bisogna percorrere il Boulevard Beach, che dà bene l’idea di quanti chilometri bisogna fare.
Il cibo, bé, lasciamo perdere. Al Riu trovavi di tutto ed era ottimo, ogni cosa, persino la bresaola della Valtellina! In questo resort, è già tanto se trovavi le crocchette per i bimbi tutte bruciacchiate.
Ma a parte questo, con la giornata di oggi, l’ultima, siamo riusciti a ritagliarci un momento che non fosse solo vita da resort. A poche centinaia di metri, il giardino botanico, un’oasi di frescura e di verde in questa isola arida e brulla. In realtà è poco più di un CIP Garden ma un posto ottimo dove trovare ombra e stare nella natura.
Immancabili i cactus. Se ti distraevi, potevi trovarteli sotto i piedi. E le palme: tantissime, una piccolissima foresta. In questo piccolo spazio verde, tanti animaletti. Certo non un safari park, quattro animali in croce: qualche capretta, pappagalli, pavoni, diversi muli, una scimmietta depressa che abbracciava un orsacchiotto di peluche e alcuni roditori.
Ho conosciuto Elsa, un bellissimo pappagallo che si faceva coccolare dal guardiano del parco. Era da una settimana ospite del giardino botanico, perché i proprietari non potevano tenerla con loro. Grattini sulla pancia e sulla testa. Ci ha invitato a fare altrettanto. Mater non ha osato, con me invece Elsa ha trovato la cosa divertente. Col becco cercava di farmi dei piercing all’orecchio.
Così al pomeriggio di nuovo a Santa Maria, questa volta abbiamo ceduto alla comodità del taxi e in effetti neanche cinque minuti eravamo al pontile. Io di nuovo ho fatto il bagno. È il posto che preferisco, il mare fa un’insenatura calma, le onde vengono smorzate e il colore è di un verde smeraldo. Mater che si lancia a comprare gli ultimi ricordini. La seguo dal mare nella sua furia da shopping. E non si lascia per niente intimorire.
Arrivano le barche, che lasciano il pesce sul pontile. C’è questa morgue di poveri pescetti, grandi e piccoli, fatti a cubetti, eviscerati, lavati e pesati. Cerco di non guardare, ma il ritmo africano, la frenesia, le donne con vestiti sgargianti mentre soppesano il pesce, mi affascinano. Siamo in Africa, l’odore di una pescheria è niente al confronto. Cerco di fare delle foto senza urtare il sentimento di qualcuno. Mi intrufolo nella vita quotidiana dei pescatori. Sento il vociare in una lingua completamente sconosciuta, il creolo, il portoghese? Non lo so.
Mater intanto contratta nelle ultime bancarelle e in alcuni negozi, il prezzo. Alla fine non ce n’è, i cinesi, con quei quattro supermercati, vendono a un prezzo decisamente basso, meno ancora del souk. E a Mater non sembra vero, visto? Ad averlo saputo…
E poi a conclusione della giornata, il tramonto sul pontile deve essere spettacolare, ma non posso lasciare Mater senza controllo, chissà cosa potrebbe combinarmi… la porto a messa. Domani domenica, non è possibile, perché siamo impegnati sull’aereo, non resta che la messa prefestiva. Entriamo con la luce del sole ed usciamo nel buio.
A Mater viene la frenesia, ancor di più della sua compulsione per lo shopping. Agguanta una suora, non la molla, l’italiano sembra che vada bene. Le racconta di sé, della sua vacanza, di pater, le chiede una prece. La suora è ben disposta. Non la fermo, non l’allontano. Intanto la comunità si riunisce, il coro da una parte, tutti gli altri dall’altra. Lo spazio è piccolo ma siamo tutti raccolti. Il prete fa alcuni tentativi di saluto in lingue diverse dal portoghese. Il Vangelo, in portoghese, viene letto successivamente, in lingua creola, almeno credo, da una persona. E dopo la predica, legge un messaggio in italiano. La messa finisce dopo un’ora e mezza. Io sono esausto. Mater guadagna la sacrestia, si intrufola nei locali dietro l’altare e prende in ostaggio anche il prete. Non c’è proprio modo di portarla via… Lo guardo sconsolato, come a dire, mo’ te la becchi… Una ragazza con evidenti problemi psichiatrici accompagnata dalla madre, scalpita dietro di noi. Adesso finisce in rissa.
Mater contenta soddisfatta esce trionfale dal cancello della chiesa e non si accorge della vivace movida della via principale, quella tipica dei Navigli al sabato sera. Sono convinto che se chiedo, mi ritrovo con una tale quantitativo di bamba… Niente, Mater passeggia sotto le luminarie come se fosse sugli Champs-Élysées. Non so il motivo, ma per una strana ragione ci troviamo inglobati all’interno della banda cittadina. Ovviamente non hanno le classiche uniformi del Corpo di Santa Cecilia: i ragazzi indossano le maglie con su la scritta Ronaldo. Mi sembra tutto così assurdo. Siamo in Africa, con senegalesi da una parte e capoverdiani dall’altra. Secondo me, siamo nel set di una West Side Story che deve ancora consumarsi sotto la luminaria più luminaria di tutte le altre al principio della via. Individuo un taxi azzurro, carta da zucchero, e giallo, sento le ultime note di trombe, dei gridi di giubilo della serie Viva Santa Maria, che sicuramente non sono riferiti a Mater, la caccio dentro e partiamo per il tristissimo Sol Dunas e finiamo l’ultima sera qui a Sal.