Ora che sono certo di arrivare a Milano e di non vagare per la città di Lisbona ascoltando il fado, oppure di non ubriacarmi nei locali del Barrio -non sarebbe stato così improbabile- mi metto a scrivere in questo tempo di due ore e mezzo di volo.
La giornata di oggi è stata solo ed esclusivamente per organizzare il rientro. Mater, che di solito alle 8 dovevi tirarla giù dal letto, alle 6.30 era già in piedi. La solita scena. Nel dormiveglia senti le zip delle borse aprirsi e chiudersi, gli scatti plasticosi dei fermi di chiusura delle valigie, il suo ciabattare; percepisci soprattutto la sua ansia che viene trasmessa telepaticamente. Vorresti gridarle di smettere, che così non va bene. -Ci mancano ben 6 ore prima di partire. Stai calma- vorrei gridarle, ma la lascio fare. Mi giro dall’altra parte e mi infilo ancor di più sotto le lenzuola.
Fino a quando la sua ansia non prorompe in esclamazioni secche -allora non ti alzi, su forza, sbrigati che dobbiamo fare colazione-. Inizio a sbuffare, con un occhio semichiuso, cerco di guardare oltre la finestra. Devo proprio? Mondo ingrato! Lei è vestita di tutto punto, io ancora devo realizzare chi sono e che cosa voglio dalla vita. Riordino le idee, pubblico qualcosa, controllo le notifiche di facebook.
E così mooolto lentamente ritorno in vita. Lei che sbuffa, che con le scarpe continua a ticchettare il pavimento. Ok, ok.
Esco dalla camera.
La colazione è veramente pessima, altra prova inconfutabile che il Riu era il migliore. Le briochine striminzite come supposte, sono ancora congelate e sono dure. Ma nemmeno una brioche riescono a rianimare! No, veramente. Altri venti punti in meno.
Mater è ancora agitata. Si mette a parlare con due giovani che hanno avuto la malaugurata idea di sedersi presso il nostro tavolo. Madre prorompe in un esclamazione -aereo, noi Milano, dobbiamo andare in aeroporto-, agita le mani. Il ragazzo mi guarda turbato, cerco di zittire Mater. Poi traduco. Si mettono a ridere e parlano a loro volta. Sono testimone di una conversazione assurda.
Trangugio l’aranciata, e mi alzo per togliere dall’imbarazzo i due piccioncini.
Portiamo gli asciugamani in piscina. Ovviamente il tipo non c’è. C’è una fila chilometrica. Ma puoi stressarti anche in piscina? Ci rinuncio. Incominciamo a portare le valigie nella hall. Dalla camera cerchiamo di chiamare la conciergie ma il telefono non funziona. Mi viene una crisi isterica. Ma possibile che in questo albergo deve andare tutto in vacca! Mater si allarma. Prende le malcapitate signorine delle pulizie. Le allarma. Deve portare i bagagli, aereo, deve prendere l’aereo. A momenti lo sa tutto il resort.
Dopo 20′ arriva il senegalese, non è creolo. È gentile, si scusa, si prodiga in mille inchini. Mater riporta gli asciugamani. Non ce la fa. Appena trovo la giraffa che abbraccia i bambini, le chiedo se può abbracciare una “girl” di 85 anni. Mater finalmente si tranquillizza tra il pelo del pupazzo. Un abbraccio consolatorio e catartico.
Finalmente si è rotta la spirale di nevrosi che si stava autoalimentando. Al check-out, alla domanda -tutto bene?- mi limito soltanto che questo albergo è un incubo, quasi come l’hotel California. Non capisce la battuta, è mortificato. Non me ne frega niente.
Alle 10 e 15 arriva quello del transfer. L’appuntamento era una mezz’ora più tardi: dopo tutti i messaggi via whatsapp mandati tra ieri e oggi, ma soprattutto certo del fatto che all’andata ci avevano abbandonato nella notte buia di Sal, si saranno intimoriti.
L’aeroporto Amilcar Cabral, con le colonne portanti colorate d’arancione, sembra una cattedrale nel deserto. Il bianco delle pareti è accecante.
Pensavo che non ci fosse nessuno, ero così fiducioso. Invece c’era una coda infinita, quattro banconi che servivano in contemporanea 5 voli: Parigi, Francoforte, Bruxelles, Helsinki e ovviamente il nostro. Ma come si fa? Ma davvero.
Al controllo del metal detecor ho deciso di saltare la fila, proprio come un portoghese. -La vedete, 85 anni, come fa a stare un’altra ora di fila?-
Ci aprono la corsia preferenziale e in un momento saltiamo 300 persone. Ecco, cosa vuol dire avere la mater 80enne. Il volo è in ritardo di un’ora, iniziano le imprecazioni, le preoccupazioni, le incertezze sul volo successivo. Sfodero tutte le mie conoscenze informatiche. Scovo il volo, che comunque era in prossimità di Sal, ma sempre in ritardo. Cerco le statistiche dei voli precedenti. Tutti puntuali eccetto la giornata di oggi. Quando la sfiga!
L’aeroporto mi soprende. Ci sono spazi all’aperto, fontane, ponticelli. Che bello poter respirare di nuovo l’aria di Capo Verde! Mater è sorpresa dal costo dei souvenir. Continua a dire che al mercato era tutto più economico. Ravana nel borsa, dà gli ultimi scudi al duty free shop per comprarsi un ricordino.
Partiamo e per 3 ore e mezzo cerco di ronfare rimaendo in dormiveglia. Vedo le canarie, l’isola di Palma. Mangio i ravioli: ancora! Ma basta! Questa volta sono però con la salsa al pomodoro. Ovviamente insipidi che non sanno di niente. Obbligo Mater a mangiare la sua razione. Incomincia a schifarli. Le dico che così almeno si scalda se li mangia. Non c’è verso. Ne assaggia uno, come se avesse mangiato veleno.
Atterriamo a Lisbona alle 19 spaccate. E lì una corsa infinita ad ostacoli per il volo successivo. Le hostess di terra ci incitano come in una staffetta. Saltiamo le code ma dobbiamo fare il controllo passaporto e di nuovo il controllo al metal detector. È tutto un incitamento -sù, forza, correte-. Le grido – ha 85 anni, non è che possiamo fare la Lisbon Marathon-. -E allora dormite a Lisbona!- mi risponde di rimando. Un vaffa gridato e bello sonoro si è levato per tutto il terminal sud. Ma come ti permetti, brutta stronza? Non è colpa mia se il vostro aereo e i vostri controlli ci remano contro. Vorrei fare una scena teatrale ma penso al mio volo. Corriamo a perdifiato, il desiderio di non perdere l’aereo è più impellente degli insulti. Arriviamo al gate ormai chiuso, ma ci fanno passare lo stesso.
Mater è sconsolata, è in una valle di lacrime. Ha la crisi isterica, non puoi sedarla, non ci sono le giraffe. Si mette a gridare che non trova le carte di imbarco.
Non posso darle torto.
Appena sull’aereo, finalmente le passa tutto e tiriamo un sospiro di sollievo. E fine anche questa vacanza.