Anno domini MMXXII, nel regno di Charles the Third. La Betta non è ancora tumulata, mancano due giorni e per l’Inghilterra e le sue nazioni non sarà più come prima.

Facile dire che il motivo sia per questo. No! Avevo già in mente di venire. Forse è stata una decisione così grave che la Betty non ha retto, ma non ha importanza! Quando ho prenotato, era da poco successo, mi sono detto che non sarà la morte di una regina a farmi cambiare idea. Morta una se ne fa un’altra. E ci troviamo pure il Carletto. Azz.

Ho prenotato un volo dell’ITA, aereo con ancora la livrea di ALITALIA, l’Airbus 319 Pantelleria. Ovviamente un’ora di ritardo senza che qualcuno giustificasse ciò. Possibile? Abbiamo tagliato le lettera AL e LIA ma il servizio rimane lo stesso. Eppure eravamo a Linate, senza traffico, con un cielo splendidissimo. Accanto al Gate 27 si sono ammassati gli altri passeggeri del volo British sempre per Londra. Ci guardavano come gli appestati, in quella zona extra-shengen così minuscola, non ancora rinnovata dal faraonico piano di ristrutturazione dell’aeroporto di Linate.

Ho scelto ITA perché la meno cara, anche dei voli low cost, in alcune proposte la business costava meno della economy, peccato che dovessi svernare a Roma: anche no, grazie! Partiamo verso Nord, aereo pieno come un uovo, non sono vicino al finestrino, non c’era possibilità di cambio posto, a meno di non pagare la cresta di 15 euri. Intravedo la Grigna, il Resegone e Lecco, e Londra, proprio la city. Mi mangio le mani. Forse avrei potuto essere meno tirchio, uno spettacolo così non si vedeva tutti giorni. Pazienza.

Pensavo di atterrare al terminal 5, quello nuovo, avveniristico, tutto vetro e acciaio. Invece no. Lo sbarco è velocissimo. Ho già con me trolley e zaino. Che fondo, non devo aspettare i bagagli, ma aspetto lungamente alla fermata del bus che mi porti alla Green Motion per il ritiro auto. Alla fine, visto che erano ormai le 19,30, prendo il CAB. Litigo con uno, gli faccio vedere l’indirizzo, sono sicuro del posto, a tre chilometri, perché già guardato e riguardato. Il tassista litiga con quello dell’accoglienza sul marciapiede, io litigo con il tassista. Ma è qui dietro. Dundio, cosa ci vuole, non ci sono bus… Alla fine ci capiamo, e io capisco che ho buttato via 27 sterline, stica, per essere trasportato dietro Heathrow.

Prendo l’auto, bella, nuova, scintillante, mezz’ora a cercare il punto di accensione e mi immetto nella M4 e sul Grande Raccordo Anulare di Londra, la M25, la London orbital. Devo aver cileccato qualche corsia, di qualche rotonda, poi è un veloce susseguirsi di immagini che corrono verso il tramonto, che tarda a spegnersi. Incrocio la M3 e poi la 303. Arrivo nei tempi previsti allo Stonehenge Inn, nella periferia di Salisbury nella Contea del Wiltshire. Il posto, tipo trattorie da incubo, è quasi fatiscente, un po’ sbilenco, come le pietre di Stonehenge, ma ha un fascino unico. L’aria fresca e pungente, l’odore della moquette e delle travi di legno ormai logore e arcuate, la mia stanzetta che sembra più che altro a una capsula hotel, il bagno minuscolo, devi tenere dentro la pancia per entrarci e i rubinetti, rigorosamente quello caldo e quello freddo, ben separati. Scendo nella locanda. Mi servono prima il milkshake, dove il latte era un’opzione e la panna, boh… e poi mi butto sul mio fish and chips…