La cena a buffet in un resort con formula “all inclusive” è qualcosa di raccapricciante ma allo stesso tempo metafisico perché va ben oltre la realtà e l’immaginazione.

Megattere in shorts che si contendono l’ultimo vassoio di Suzukaki, tedeschi dalla stazza di una petroliera che si portano sul tavolo un piatto che miracolosamente contiene cibo per almeno due settimane, giovinastri le cui giunture a livello delle ginocchia saranno completamente erose dal peso boteriano, aiutati nella dispnea da ventilatori elettrici che soffiano come un tornado direttamente sul faccione rubizzo, si portano come trofeo l’intero porco che non è stato ancora affettato.

C’è qualcosa di perverso che mi spaventa, che mi lascia leggermente turbato. Sembra andare verso la morte con lo spiedino direttamente conficcato in faringe, con il fegato pronto ad esplodere e il pancreas che si raggrinzisce come un grissino perché non ha più insulina da strizzare.

La mia cena, vi giuro, è stata molto parca. Giurin giuretto, croce sul cuore.

Dopo cena, spettacolo folkloristico per l’intera Casa Prina in trasferta. Vecchie rintronate, tazzate e su di giri, dopo aver messo a posto la dentiera traballante hanno sfidato le forze di Starzl e le coronarie.

In scena musiche lamentose, sostenute da menestrelli che pizzicavano con le dita le corde del mandolino, che raccontavano di amori impossibili, non corrisposti e molto probabilmente finiti malissimo (a giudicare dagli acuti delle lagne). Due maschietti accanto ad altrettanto donzelle, una delle quali veramente faiga, spargevano testosterone, risvegliando istinti animaleschi nelle gentil signore.

Invece, per quanto riguarda il secondo giorno, ci siamo portati nella città di San Nicolao, quella che doveva essere la città più bella della Grecia. Abbiamo percorso tutta l’autostrada da poco asfaltata, liscia come un tavolo da biliardo, schivato i trentamila autovelox nei cui tratti di competenza la velocità miracolosamente scendeva a 70 per poi magicamente tornare ai canonici 90 km/h cento metri dopo l’autovelox.

Prima tappa, il monastero di San Giorgio a Selinari, in mezzo a due formazioni rocciose, nel punto in cui l’autostrada lasciava il passo ad una straducola. Complesso carino, in parte chiuso, tenuto bene ma sporcato da residui alimentari e non solo dai suddetti vacanzieri. Orde di tedeschi che strillavano, molto probabilmente speravano di incontrare il drago.

E poi San Nikolao, cittadina carina ma niente di eccezionale, raccolta tutta attorno al “Lago”, un’insenatura perfettamente circolare, proprio nel centro urbano. Ma sì carino, tuttavia l’ammasso informe delle case della periferia è inguardabile. Mi sono trattenuto dall’andare via subito solo per dare la possibilità a Mater di ispezionare i negozietti del centro. Appena fuori, la spiaggia di Amnos raccoglieva un mare pulitissimo, perfettamente verde, nel quale era impossibile non fare il bagno.

Nel pomeriggio, un lungo giro circolare per tornare a Heraklion. Due tappe. La prima, le Gole di Ha, un canyonino che parte da una fenditura impressionante sul lato roccioso di una montagna maestosa. All’ombra delle mura di una chiesetta bianchissima, abbiamo mangiato la colazione al sacco, prevista sempre dalla formula all inclusive dell’albergo. Metà dei toast, ho cercato di darla a delle caprette che mi hanno schifato e sdegnate non hanno nemmeno pensato di accettare la mia proposta, zampettando tra le rocce. La seconda, nella città di Ierapetra, località altamente turistica, una Rimini affacciata sul mar Libico. Io veramente non sopporto più le produzioni umane e gli insediamenti abitativi. Ho preso comunque occasione per fare un altro bagno nel mare pulitissimo e calmo, dove finalmente non spirava il vento del nord.

Lungo i tornanti, salite a strapiombo, dopo aver attraversato paesini remoti, arroccati sulle pareti delle montagne, abbiamo tagliato in due l’isola di Creta e siamo arrivati ad Heraklion giusto in tempo all’ora del tramonto.