L’ultimo dell’anno è stato piovosissimo e umido. La pioggia cadeva fitta e sottile, nebulizzata che bagnava completamente, come l’acqua che scende dal soffione della doccia.

Verso le 20, mi sono diretto in centro città. Ho parcheggiato oltre il fiume, accanto ai Vigili del Fuoco, come al solito.

Ho fatto una deviazione nel West End, una sorta di Temple Bar dublinese. I giovani avevano invaso la strada, e facevano la fila

per entrare nei pub. Le femminucce erano sbiotte, con i glutei in bella mostra e un top che non copriva niente. I maschietti erano in maglietta e pantaloncini. Mi chiedevo come facessero a non ammalarsi di polmonite.

Mi sono poi incamminato verso il centro, alla ricerca di un ristorante. Il Martine chiudeva la cucina alle 21.30, ormai era tardi.

L’altro, il Magnetti, una trattoria italiana, proponeva dei piatti sconosciuti persino agli italiani.

Un fast food gestito dagli indiani era vuoto e all’interno si percepiva un odore insopportabile di spezie, che mi ha fatto scappare via. L’unica alternativa rimaneva il McDonald’s, strapieno di quei ragazzetti che non potevano bere, papponi che smerciavano le signorine ai desiderosi e vogliosi, e vecchiardi sbilenchi. Non sapevo in quale categoria collocarmi.

Ho mangiato un panino con delle patatine e, alle 23, ho festeggiato l’ultimo dell’anno italiano sorseggiando una Coca Cola Zero e trangugiando alcuni cioccolatini al Baileys, particolarmente muffi comprati alla Lidl.

Al centro del viale, una band suonava su un palco coperto, ma è durata solo cinque minuti. Il palco veniva smontato poco dopo.

Il Capodanno ufficiale l’ho festeggiato in strada, salutato dai ragazzi che urlavano un happiniuiear direttamente nelle orecchie, rilevando direttamente il loro grado alcoolico.

Alle 7 di stamattina, vedendo fuori dalla finestra una stella nel cielo, ho deciso di partire per il nord, o meglio per l’Irlanda del nord. Era ancora buio quando ho preso l’autostrada per Sligo. Non c’era nessuno in giro. Dopo 150 km, il sole stava sorgendo e ho fatto colazione nell’area di sosta del benzinaio del paese. Il tempo sereno e la temperatura mite mi hanno invogliato a proseguire.

Purtroppo, poco dopo, la strada era bloccata per un incidente. La polizia non aveva ancora chiuso le carreggiate. Ma io devo andare a Derry, ho detto abbassando il finestrino in tono lagnoso. Il poliziotto mi ha guardato e mi dice: torni indietro al villaggio, giri a sinistra e poi ancora a sinistra.

Gli ho risposto che non avevo ancora visto alcun villaggio se non parecchie pecore. La mia faccia inebetita di italiano deficiente lo ha convinto a dirmi: follow me. Non faccio in tempo a completare l’inversione, che lui è partito a razzo e ho faticato a stargli dietro. Dopo 3 km, la Garda ha inchiodato di colpo, a momenti lo tampono. Con il braccio fuori dal finestrino, mi ha indicato un viottolo largo poco più di due metri. Un tratturo. Dopo un mezzo sorriso al poliziotto, mi sono infilato nel budello risalendo la collina. Lungo la stradina, ho incrociato diverse ambulanze. Avrei voluto toccarmi, ma non potevo lasciare il volante.

Dopo alcuni chilometri, il tempo ha iniziato a peggiore con grossi nuvoloni che avanzavano rapidamente, portando pioggia. A Derry, veniva giù il diluvio universale, a Donegal a momenti nevicava.

Il mio buon umore incominciava a incrinarsi. Volevo rinunciare. Neanche il pensiero del bellissimo arcobaleno visto poco prima, riusciva a rasserenarmi. I miei pensieri ondeggiavano come il vento. Guidavo per inerzia. A Coleraine, uno squarcio di cielo azzurro si è improvvisamente aperto davanti a me. Ho proseguito fino alla Giant’s Causeway, stremato.

Il vento mi sferzava in pieno volto, l’aria era gelida, ma ero felice di essere arrivato fin lì, il set del Trono di Spade, sito Unesco dal 1986.

Ero stanco e provato ma anche emozionato. Mi sono diretto immediatamente verso il sentiero.

Le colonne di basalto si ergevano maestose davanti a me. Mi sembrava di essere in un videogioco. Con cautela, mi sono portato sulla cima più alta per farmi un selfie. Non ero soddisfatto del mio aspetto. Avevo il viso raggrinzito dal vento e il cappello mi rendeva ridicolo più di quanto non lo fossi. Finalmente arrivato, mi sono lasciato andare. Ho chiuso gli occhi e immaginato i vichinghi scendere direttamente dalla Scozia. Sentivo la voce leggiadra della sciacquetta, cantante dei Dune, intonare “Who wants to live forever”, mentre allungava la sua esile manina verso di me. Improvvisamente, qualcuno mi ha toccato. Pardon? Ah, già si deve fare il selfie anche lei. Sono sceso goffamente, rischiando rotule e caviglie, zompando sulle colonnine di basalto. Almeno il vento si era placato, bloccato dal gigante, la montagna davanti a me.

E mentre tornavo lungo il sentiero, il tramonto infiammava il cielo. Quel cielo di Irlanda era tutto ciò che avevo sperato di vedere… ma proprio ora, alla fine della giornata? Che mondo crudele.