Quando avevo prenotato l’escursione, mai e poi mai mi sarei aspettato un’avventura stile Indiana Jones. Tant’è vero che il ragazzo del Club Med ce l’ha proposta come un’assoluta iniziativa “outdoor” alla portata di tutti. Alla faccia!
Ma cerchiamo di capire le tappe di questa giornata segnata dall’attività agonistica neanche avessimo partecipato alla specialità dei giochi olimpici.
La sveglia è stata già una tragedia. Abbiamo puntato il telefono, il telefonino e abbiamo pure chiamato la reception. Così, alle 7, la nostra camera è stato un unico concerto di trilli che ci hanno trapanato i timpani neanche fossimo alla messa di un matrimonio.
Far alzare Carlo è stata una mission impossible: mugugni si levavano da sotto le lenzuola e i cuscini.
Ma tutto lo sforzo è stato ricompensato quando la Serena ha voluto sedersi accanto a lui durante la colazione. Altro che la sciacquetta della Marion! Proprio lei, la Serena, quella strabica, con gli occhi fuori come la Carfagna, ma con un corpo da urlo e una simpatia contagiosa. Carlo si continuava a sbrodolare proprio a causa della sua vicinanza. A ogni cucchiaio di Kellog’s popocorn gli cadeva un rivolo di latte sul mento, talmente imbesuito dal sorriso di questa eterea presenza angelica vicinissima a lui.
Alle 8 spaccate ci prendono col bus e ci portano a Morne à L’Eau per il tour. Tempo incerto, tragitto breve. Non facciamo in tempo a realizzare che cosa ci sarebbe aspettato nelle tre prossime ore. Le istruzioni su come pagaiare vegono dettate in francese e in uno stentato inglese. Sembra tutto così facile: prendi la pagaia con i pugni ben stretti formando con il braccio un angolo retto, -mi raccomando la pagaia deve avere il bollino nero sul davanti.
Ci caliamo nello kajak doppio, perché più stabile, secondo rigorose precise istruzioni della bionda guida. Già rischio di scivolare sulla melma del pontile, il mio sedere fa oscillare paurosamente la canoa, le gambe non riescono a incastrarsi nelle fessure.
Ci raduniamo attorno alla boa centrale da dove poi sarebbe partito il nostro tragitto. Ecco inzia un’isteria collettiva. Tutti pronti, noi che ci giriamo esattamente dall’altra parte degli altri canoisti. Cerchiamo pericolosamente di tornare indietro ma entriamo in un mulinello che non ci fa capire più nulla. Io inizio a gridare, Carlo mi tira la pagaia in testa e implora la nostra signora di Guadalupe. Sembriamo proprio una coppia affiatata stile Sandra e Raimondo. Nel bel mezzo di una crisi di pianto arriva la guida che ci fa una dura reprimenda, mettendoci in riga. E ce lo dice in Inglese. Talmente convinto era il suo tono che penso l’abbia capito pure Carlo. Ci dice in breve che “togheter we stand, divided we fall”. Insomma la sicurezza dipende solo ed esclusivamente da noi e che dobbiamo essere uniti.
Succede il miracolo dopo averci spiegato di nuovo le manovre. Io mi calmo all’stante, Carlo pure e magicamente avanziamo nella direzione giusta con nostra sopresa. Talmente bravi che a un certo punto sembriamo all’interno del film Laguna Blu . Ok, non siamo ancora esperti infatti tamponiamo diverse volte le canoe davanti a noi, ci incastriamo tra le radici delle mangrovie, ma una volta capito il meccanissimo ci divertiamo come matti.
Così per tre kilometri, fino all’ilet à Macou, dove approdiamo su una spiaggia, andiamo a pregare la nostra signora di questa isola e ci tiriamo le noci di cocco. La guida ci perdona per il nostro show. Il ritorno però contro vento ha messo a dura prova le nostre abilità e arriviamo stremati con la lingua di fuori fino al paesello.
Mai più kajak, l’ho promesso solennemente alla madonna. Il pomeriggio però almeno ci siamo concessi un po’ di riposo su una spiaggia a pochi kilometri dal villaggio.
La serata è continuata con il solito spettacolo e il party caraibico sul terrazzo fronte mare di uno dei ristoranti. Il Club Med fa le cose in grande.
Festeggiano i 40 anni del Villagio La Caravelle e per l’occasione c’è l’Espansione TV locale, la TV guadalupienne. Tutti commossi davanti al mare, ammiriamo i fuochi d’artificio, a dire il vero un po’ stitici.
Ci abbracciamo tutti con la musica di una canzone di Bob Marley e ci vogliamo tutti bene. Ovviamente a seguire “Heal the world” di Michael Jackson.
Il riconglionimento era pari al grado alcoolico che sarebbe seguito, tra tequilla, rum al cocco e, sempre evergreen, cuba libre. Io, ormai disfatto, sono tornato in camera. Ho lasciato Carlo da qualche parte ma so che si difenderà bene dalle insidie della Serena che lo ha abbracciato dopo aver iniziato a ballare. Ovviamente Carlo era rigido come uno stoccafisso, non capendo più nulla.