Ho realizzato che fosse il giorno Venerdì 13, solo quando sono scivolato giù da una collinetta arenandomi sulla strada poco più in basso. Niente di che, per carità, pochi centimetri e tanto fango. Ovviamente mio nipote non si è accorto di nulla. Stava praticamente ascoltando musica tunz a tutto volume dallo stereo della macchina, ancora assonnato e in preda ai fumi d’alcool della notte prima. Sarei potuto precipitare giù nel canyon che lui non avrebbe fatto una piega.
Però mi sono riscattato poco dopo: il mio istinto di Indiana Jones mi ha dato il coraggio di buttarmi nella pozza d’acqua sotto la cascata. Non era ghiacciata ma era abbastanza forte. Sono soddisfatto della mia audacia, ok molto limitata, ma pur sempre qualcosa.
La parte occidentale, la Basse Terre, di Guadelupe, è montagnosa, molto simile alla Reunion e alle Hawaii. Abbiamo solamente scollinato perché il tempo era nuvolo soprattutto in concomitanza coi rilievi montuosi, questo ne andava dell’umore di Carlo che era ancora in fase letargica.
Però una cosa bella l’abbiamo vista, lo Zoo di Gaduelupe. Piccolo, ma tutto dentro la foresta. Ti dovevi arrampicare e camminare sulle passerelle mobili all’altezza vertiginosa di 40 metri. E ovviamente gli animali ti guardavano dal basso verso l’alto. Mi sono sentito molto Kate Perry nel video Roar, anche per il fatto che un miciotto-tigre era lì, abbastanza annoiato, a riscaldarsi sotto quell’unico raggio di sole.
Carlo ha fatto sì che i procioni, al cui nome si è fatto una grassa risata, si ingozzasero con dei croccantini pagati cinquanta centesimi. Si divertiva a lanciarli nella pozzanghera per far sì che il racoon, o orsetto lavatore, si facesse il bagno. Vallo a capire (mio nipote, non il racoon)!
In ogni caso era in competizione con un bimbetto che lanciava i croccantini con più precisione di lui.
Il resto del pomeriggio l’abbiamo passato circumnavigando la Basse Terre, ripeto, montagnosa, lungo il periplo accidentato delle sue coste.
Dopo essersi scofanato una ciabatta lunga giusto quel metro, Carlo doveva chiudere un altro buco. Così ci siamo infilati un ristorante creolo sulla spiaggia con le sedie arancioni e tutto il resto d’azzurro, ovviamente dal soffitto pendevano le palle di natale. Giuro non mi sono fatto di acido.
Ci siamo pure persi nella periferia anonima, simile molto a Quarto Oggiaro, di Pointe a Pitre. Davanti al CHU, il centro ospedaliero universitario, abbiamo sbagliato strada, recuperata subito dopo grazie alle notevoli capacità del sottoscritto in fatto di navigazione terrestre.
La notte, l’ultima, è iniziata con uno spettacolo un po’ banale, a dire il vero, con un’accozzaglia di stereotipi francesi: un po’ di fighe scosciate, al ballo del Can Can. C’era pure un Michael Bublé che ha cantato dal vivo una versione moscia di Feeling Good. Mancava il ritmo e di certo pure il fascino del Michele.
La serata è continuata sulla spiaggia, al bar Mango, con una cascata di spumante o champagne, vallo a sapere, colata su una piramide di bicchieri.
E da lì è partito lo strip con musica truzza. Carlo era già in botta e non era per niente socievole, colpa della Serena che non l’ha cagato di striscio, danzando con lo zoticone belga, forse suo fidanzato.
E il cuore a pezzi è difficile metterlo assieme in una serata, l’ultima, nonostante la luce velata della luna, lo sciabordio del mare e la sabbia.
Ingenua fanciulezza!