La repubblica dimezzata

Adesso mi attirerò un sacco di critiche (anche perché non mi sono mai esposto dal punto di vista politico) ma lo devo fare perché vedere oggi i festeggiamenti in pompa magna sui Fori Imperiali, con il presidente incartapecorito (che aveva giurato e spergiurato che se ne sarebbe andato fuori dalle scatole, ma che è ancora lì sulla sedia gestatoria) e tutte le cariche principali dello Stato in bella mostra, mi è venuto un po’ di fastidio, senza nulla togliere alla mia personalissima ammirazione per tutte quelle persone che hanno sfilato, nei loro ranghi di forze armate e dei corpi rappresentativi.

Già, perché l’Italia è una mezza repubblica, non è uno stato formato e maturo. È una repubblica sinistrata. È nata così, senza che nessuno si preoccupasse di sistemare la convergenza. Pende a sinistra, siamo frutto della sinistra e per fortuna che gli Americani con la loro cioccolata ci hanno salvato, altrimenti altro che tricolore avremmo innalzato!

Guardate lo stemma della Repubblica, una ruota dentata e una stella! Ripeto una ruota dentata!!! Sì certo, l’Italia è fondata sul lavoro, ma prima ancora di parlare di lavoro, la repubblica è formata da gente, da persone libere, che hanno un orgoglio, un’identità. We, people of the United States, inizia così una delle costituzioni oltreoceano.

Noi no, abbiamo un ingranaggio, circondato dalla verdura, l’ulivo e la quercia, e la stella. Niente che ricordi la propria storia, nulla che caratterizzi la nostra italianità. Siamo proprio gli unici nel mondo ad innalzare uno stemma, che poi non c’è nemmeno uno scudo, senza il rispetto delle regole araldiche, senza simboli.

Guardo estasiato tutti gli altri degli stati che ci circondano. Ogni scudo ha un simbolo, innalza un motto. Si ha la fierezza araldica come fondamento su cui basare la propria identità e l’orgoglio. Quante volte ho pensato, ad esempio, quanto fosse bello e poetico il motto delle Mauritius, che hanno l’ardire di essere la “stella clavisque Maris Indici”, la stella e la chiave del Mare Indiano. Oppure lo stemma della Russia, nel cui cuore dell’aquila bicefala, c’è il San Giorgio, simbolo di Mosca. Oppure la sfera armillare del Portogallo, o gli scudi uniti dalle colonne di Ercole nello stemma della Spagna. Guardate quello della Nuova Zelanda, dell’America, del Messico, della Finlandia, della Svezia, della Slovacchia, della Croazia, del Botswana. E potrei andare avanti così per tutte le nazioni del mondo. Guardate l’immagine che ho preparato per questo post.

Peggio di noi, forse la Francia e la Corea del Nord. Ma possibile che questa Repubblica, tanto ricordata in un giorno soltanto, debba esprimere la mediocrità, la debolezza unitaria di un popolo che è sempre stato diviso, una repubblica dai mille contadi? Non è questione di fare gli italiani, è questione di ritrovare una giusta fierezza italiana, che non sia soltanto pizza, fichi e mandolino, gli stereotipi di noi tutti.

Siamo una sola Repubblica fondata sul lavoro (come del resto è scritto anche nella costituzione di Malta, che ci ha copiato le parole) oppure siamo qualcosa di più? Siamo lo stato delle mille città, delle mura, delle roccaforti, dei guelfi e dei ghibellini. È possibile che nello stemma del Regno Unito convergono tutti lì assieme gli emblemi delle nazioni di cui è composto il regno? Veramente, il nostro stemma ci da l’idea della repubblichina che siamo, senza spina dorsale, schiacciati in un ingranaggio…

No, questa repubblica si solleverà non andando alla morte ma quando avrà la consapevolezza che la sinistra (o il comunismo, come dice il Berlusca) è la peggiore ideologia partorita dagli uomini. E se per dire che non sono riusciti ad instaurarlo in Germania, allora noi dobbiamo liberarci da questo background da classe operaia. Certo, il lavoro nobilita l’uomo, ma prima viene lo stato, uno Stato che funzioni, che è semplicemente un insieme di persone che formano una nazione.

Si alzerà nella propria consapevolezza quando verrà messo uno stemma con un castello (ogni città ne ha uno), un’aquila e un leone. La dicotomia dell’anima degli italiani, guelfi e ghibellini, imperialisti e temporalisti. Allora sì, che avremo un’Italia vera, presente, moderna, che ha spezzato le catene, come l’aquila dell’Austria. Avremo davvero un’Italia il cui orgoglio sarà per davvero marciare a Roma sotto le frecce tricolori.


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