La giornata che più temevo è arrivata. La domenica! Mater non rinuncia alla messa, neanche fossimo stati nel cuore dell’Africa più remota… Domenica scorsa, quando siamo arrivati, era tardi (per fortuna, aggiungo). In questi giorni, tutte le volte che attraversavamo Mamoudzou, passavamo dall’ingresso dell’église ma l’abbiamo sempre trovato chiuso, fermé, sbarré.
Con un cielo terso, oggi arriviamo alle otto e mezza. Mater non appena vede il cancello aperto, si fionda giù dall’auto e si incammina verso l’entrata, raggiante, con un sorriso stampato neanche avesse visto la Madonna di Fatima. Anzi, quella forse, proprio perché la chiesa è intitolata a lei.
Dal momento che avevamo un’ora di tempo, abbiamo deciso di fare la colazione. Ovviamente un bar come lo intendiamo noi, manco l’ombra, eppure eravamo nel centrissimo della città, proprio lungo la strada tra il Pirellone del Consiglio Dipartimentale di Mayotte, il palazzo della Provincia dell’agglomerato di Mamoudzou e di Denbeni e il municipio, l’Hotel de la Ville. Mater pensava proprio fosse un albergo. Comunque, proprio davanti al Comune, c’era una boulangerie, senza tavolini all’aperto. Da un pertugio ti servivano quello che volevi. Ok per il pain au chocolat e due caffè lavazza, fatti con le cialde perché la moca o la tradizionale macchina del caffè non sanno cosa sia. Da un bicchiere abbiamo preso due cucchiai di zucchero. Le bustine…
Ci sediamo su una panchina di fortuna, proprio in mezzo alle tre sedi istituzionali più importanti di Mayotte e consumiamo la nostra insperata colazione. Altro che al Sartori! Qui en plein air. Dopo di che, pochi passi siamo in chiesa. Già, mi tocca! Mater incontenibile. Vuole che faccia le foto da mandare alle sue amiche. Si sente bella pimpante. Tutta la stanchezza, puf!, sparita via.
La messa è durata due, D U E, ore!!!!!!! Arghhh. Volevo tagliarmi le vene. Le letture e i canti venivano video-proiettati proprio sopra l’altare. Il prete, un omone, un po’ malandato e con un principio di Parkinson, aveva il faccione beato e ha prodotto un’omelia chilometrica, da ronfare. Non ci ho capito niente, se non qualche parola qua e là. Accanto, un altro prete con un paio di occhiali a fondo di bottiglia, e un sorriso inebetito. Il coro sulla destra, la presunta perpetua sulla sinistra, inappuntabile, schiena dritta. Le mancava solo la frusta.
Stavo per cedere quando il prete ha iniziato a ricordare tutti i nomi di persone a cui dedicare la messa. Praticamente mezza Mayotte. Comunque mi aspettavo una messa più africosa, con danze e balli e cori da stadio. In realtà, diciamo, era molto contenuta. Ah! L’influsso francese! Alla fine, io corro di fuori. Non ce la facevo più. Mater non riuscivi più a tenerla a bada. È andata a stringere le mani ai due preti, parlava in italiano e io dovevo tradurre con un francese maccheronico e per lo più inventato. Chiedeva intercessioni, preghiere, li rimbrottava per tenere la chiesa un po’ più aperta. Alla fine l’ho trascinata via, ma era felicissima. Saltava dalla gioia.
Ormai mezza giornata me l’ero giocata. Così andiamo alla prima spiaggia utile e carina, non lontanissima. Quella che avevamo visto nel giorno successivo al nostro arrivo, dove c’era un bar. Oggi la spiaggia di Sakuli era piena. Trasbordava di gente. E per la prima volta vedevo i locali, la gente del posto… C’era una linea di divisione al centro: in quella che era sotto il protettorato del bar, tutti i francesi-mayottani, regolari, invece, dall’altra parte, gli irregolari, i mayottani lì per lì. Da questa, ordine, voci sommesse, puzza sotto il naso, panini e jambon; di là, gente sguaiata, grigliate con relativi fumi nerastri, partite di calcio giocate sulla spiaggia, truzzi con gli occhiali da sole…
Al tavolo nostro, chiedendoci il permesso, si sono seduti due medici e un terzo che non so che cosa facesse: una medica generalista e un’anestesista che dovevano lavorare al Centro Ospedaliero di Mayotte a Mamoudzou. Ma non ci siamo molto usmati. Tra medici, è ovvio che sia così… Una mi ha pure chiesto se fossi in pensione. Senti bella medica di famiglia, se non ci vedi non è colpa mia, ma dirmi che sono in pensione… Due parole di inglese per il resto la loro discussione era in francese stretto, caso mai avessi capito qualcosa. Ma ‘sti francesi.
Il pomeriggio passa così nello svacco totale, Mater sulla sedia attaccata ai social. Io sulla spiaggia attraversavo la linea verde tra i due mondi. Bello io, con la mia Canon al collo e il Samsung in mano. Mi chiedo ancora come abbiano fatto a non rapinarmi. Ma, probabilmente, nessuno avrebbe mai pensato che fossi un turista. Per cui, nel dubbio, lasciamolo stare. La marea si alzava impercettibilmente fino a consumare tutta la spiaggia libera.
Alle 16, ritorno al Bed senza Breakfast. Era presto perché l’Azienda Municipalizzata avrebbe sospeso l’erogazione dell’acqua dalle 18 alle 6 di domani mattina. Sulla via del ritorno, mi fermo sul giglio della carreggiata per delle foto. Così, a un certo punto, dopo aver ripreso la strada, mi blinda la gendarmeria, la police quella vera, mica la municipale! Mi dice di accostare ancor di più. Senti, mica posso andare nel burrone! Mi chiede il passaporto. Non ce l’ho, ho solo la patente. Mi dice qualcosa, intuisco ma gli spiego che per me il francese è una lingua di cui non vale la pena imparare… Ma mi tengo per me questi pensieri. Lui mi dice che lo parlo molto bene. Ma sei scemo? Comunque, mi contesta di aver fatto una fotografia mentre guidavo.
Eh no, mio gendarme dei miei stivali. Ero fermissimo e Mater lo può testimoniare. Allora mi gioco l’asso nella manica. Senti, intelligenterrimo di un poliziotto, la “même” foto l’ho fatta sia con la macchina fotografica sia con il cellulare. E gli mostro i display. Mio gendarme, vede? Come avrei potuto fare una cosa del genere se fossi stato alla guida? Colto in castagna mi usa il google translator: va bene, per questa volta non succede niente, ma è vietato fare foto. Allora, sfidando la stupidità dei francesi, in un francese impeccabile, gli chiedo: ma è vietato fotografare in generale o solo quando si è in macchina? Capita l’antifona, che di fatto era una presa per il culo, se ne fa una ragione, sparendo all’istante. Avrei voluto aggiungere: ma scusi, signor gendarme mayottano, vede, qui tutt’attorno è una favelas, una bidonville, ma chi vuole prendere in giro? Pensa che sia questo il problema? Ma per fortuna che era sparito, probabilmente avrei visto il penitenziario, bellissimo e nuovo di pacca, di Majicavo. Dico bellissimo perché accanto alle casupole di latta che lo circondano, sembra più bello del nuovo Sant’Anna… E per questa volta me la sono schivata…