Il gattaccio non si è fatto sentire questa notte, così almeno ci siamo riposati. Alle 8 eravamo all’area traghetti. Un ragazzotto mi chiede in un francese stentato il biglietto. E riparte la trafila di parole incomprensibili. Questa volta però credo di aver capito di più. In pratica dovevo andare all’ufficio informazioni, prendere il biglietto e tornare con la vetturina. Ma stiamo scherzando, tu non hai biglietti? Gli rispondo in italiano. Mi dice di non capire il francese, infatti è italiano. E poi siamo in due a non capire il francese. Alla fine timoroso, mi fa salire nell’unico centimetro quadro a disposizione, schiacciato tra due tir… E anche questa volta 20 euri risparmiati.
Sbarchiamo a Pamanzi, un’isola grande quanto Capri, 10 km quadri. Un buco di 5 per 2 km, se poi conti pure il cratere, due montagnette, la base militare e l’aeroporto, ci rimane poco spazio. Eppure sono tutti concentrati lì. C’è la viabilità di Como come nei migliori giorni della città dei Balocchi. Un delirio totale. Un formicaio nel centro. L’entropia quando la concentri in un solo punto diventa esplosiva.
Tir giganteschi che trasportavano container, non so dove, autoarticolati e camion dell’Aprica fuori misura. Tutti convergevano in quell’unico centro nevralgico di Pamanzi. Ad un certo punto, ho perso la pazienza. Devo dire che non sono mai andato a più di 50 all’ora, sono sempre stato schiscio, ho guidato con una maniacale prudenza, con uno spirito zen che non conoscevo avere dentro di me.
Dicevamo… ho perso la pazienza quando una cretina parcheggia proprio accanto a un’altra auto dall’altro lato della strada. Sfanali, abbagli, clacson lieve, un po’ più prolungato, e poi una serenata da terroni con mano pigiata sul volante. Nulla. Non ci passavo. Lei alla guida era infastidita. Va avanti di due millimetri. Io non ci passo se non tiro in dentro la pancia. Dieci micron di centimetri per parte. Arrivo davanti al suo finestrino e le scandisco per bene la parola C R E T I N A. Lei imperturbabile guarda in cielo.
Mater mi da una gomitata, dai siamo a casa loro, qui ci ammazzano. E va beh, ripiglio la calma. Non potevi fare altrimenti. Volevo andare a nord, ma ogni strada era fermé, sbarré e stica… Ho piantato l’auto davanti a una boulangerie, rischiando di ammazzare due polli che avevano deciso di suicidarsi proprio nel momento in cui ho parcheggiato.
Poi, – i polli – sono venuti a mendicare delle briciole… Ripresa la calma al Caffè Marra, dopo aver ingerito latte e polvere stradale, dopo aver ingozzato le galline del rione, riunitesi tutte al bar, trovo con molta fatica la strada per il lago. Anche Google Street aveva gettato la spugna.
Passiamo davanti al termovalorizzatore, alla base militare francese e infine troviamo la natura. Tutta lì davanti a noi nel bellissimo lago dal colore smeraldo, adagiato nella conca del cratere. Percorriamo in senso antiorario il periplo del cratere. Il percorso è per lo più in piano, pochi saliscendi. Cinque chilometri, un giro attorno al Segrino, oppure al lago di Braies. Tutto secco, la vegetazione in crisi, il mare stupendo sotto di noi. Mater percorre il cerchio senza lamentarsi.
E a mezzogiorno, andiamo al Carrefour, bello, ordinatissimo, nuovissimo, dove deprediamo tutte le bevande a disposizione. E così rifocillati per bene, andiamo alla spiaggia Moya. Il paradiso nell’inferno. Immondizia dappertutto, ma non oggetti abbandonati, intere strade ricolme di rifiuti, una discarica a cielo aperto. Lungo tutta la montagnetta. Incredibile! Mi veniva in mente la famosa scena del film Birdy dove il protagonista per imparare a volare, si perde in questa discarica.
A Mater viene una crisi isterica, tira giù ogni santo e non a torto. È veramente impressionata, anch’io per il resto. Ma di questo voglio parlarne alla fine. Imbocchiamo una strada stretta, minuscola, sterrata, percorsa lentissimamente per evitare le voragini. E si entra davvero nel paradiso. La zona dei crateri, la spiaggia di Moya, una perfetta semicirconferenza con una spiaggia bellissima, pulita, almeno quella con un mare di colore turchese. Rimango incantato e mi siedo tra le poderose radici del baobab. Ma la cosa ancor più bella sono state le tartarughine che dalla vegetazione delle mangrovie cercavano la spiaggia per gettarsi in mare. Mi sono commosso fino alle lacrime vedere queste creature testardissime correre verso le onde, sfidando le beccate degli uccellacci che volavano sopra.
Mi sono sdraiato sulla sabbia e ho percorso il cammino di una che si era ribaltata. La incoraggiavo, battevo le mani sulla battigia. L’incontro con il mare, anzi con un’onda rabbiosa non l’ha fatta desistere. E io ho applaudito. The winner is… Quelle tre persone che erano sulla spiaggia hanno fatto altrettanto adottando a loro volta una tartarughina…
Almeno questo mi ha fatto dimenticare l’inferno sulla montagnetta sopra di noi… Ho sfoderato il mio telo mare dei Minions, peccato che ci fossero soltanto gli scurbatt a volare intorno sulle nostre teste. E mi sono gettato in mare, tra le onde e il verde. Sentivo la forza del mare che mi spingeva contro la battigia e sono stato in ammollo per due ore. Il verde era accecante.
E così alle quattro, ritorno nella confusione, un salto alla spiaggia del faro che non era niente di granché, piena di alghe e pietruzze. Tamarri poco raccomandabili ti squadravano da cima a fondo e mi incutevano un po’ di timore. Così sono scappato direttamente al traghetto, travolgendo per poco un commilitone in libera uscita della Legione Straniera. Anche qui sono salito sul traghetto senza pagare.