Ci siamo portati al Centro Commerciale Jumbo per la colazione. C’era un intenso odore di aglio, ma almeno non abbiamo mangiato nella polvere della bidonville. Un po’ di latte caldo e il pain au chocolat. Spiegarglielo in francese e questa alla cassa che ti guarda come se avessi detto delle castronerie. Glielo ripeti una seconda volta. Faccia atarassica. Non so, giuro che non parlerò mai più francese in vita mia, ma almeno adesso dammi la mia colazione. Ma hanno capito benissimo, anche perché cosa ci vuole dire due parole in francese? Fanno fatica però coi neuroni in testa. Troppo sbatti dire – sì ho capito -. Dappertutto funziona così, a Mayotte no. Che ansia.

Per fortuna che i quattro negozi del centro erano chiusi altrimenti mi sarei giocata Mater come la sera precedente quando l’ho accompagnata alla Coin di Mamoudzou per ringraziarla della sfacchinata di ieri.

Ci portiamo poi all’ufficio informazioni, centro nevralgico, economico, sociale, sanitario, di tutta la Mayotte. Le informazioni turistiche non te le danno e non ti fanno neanche le prenotazioni per le escursioni. Ti danno in mano una brochuretta, ti sottolineano i numeri telefonici e lo sbatti è tuo. Incomincio ad arrabbiarmi. Mater si rifugia nella toilette, l’unica parola di francese che brandisce a destra e a manca.

Io non mi agito, recito dentro di me come un mantra le parole “akuna matata”. Ma tanto “matata” perché a questi non interessa del domani, dei turisti, del fatto che qualcuno non è in grado di chiamare… Cerco di farmi passare il disagio. La signora mohoriana mi offre la cartina di Mamoudzou, unico segno tangibile sull’utilità all’ufficio turistico. Aaaargh!!! Ok, niente da fare per oggi, niente gita in mare.

Ripiglio l’auto parcheggiata di sfrodo in un posteggio dell’ospedale, che domina la collina di Mamoudzou e parto, cercando di scansare gli scuolabus (una marea) e i compattatori dell’ACSM. Mi fiondo nel dedalo di viuzze, passandoci al millimetro e poco dopo mi trovo sulla statale la numero due verso Sud.

Arriviamo abbastanza fluidi a Bandrélé sulla costa orientale. Primo paesino non ancora visitato nelle precedenti escursioni. Il delirio totale. Bambini, caprette, donne sdraiate sui marciapiedi con il loro carico di frutta, poliziotti con evidenti segni di nevrosi. Scappiamo subito nella prima spiaggia dal nome curioso “Musicale”. Penso che abbia lo stesso significato in francese. Bella, sabbia scura, moltissimi granchietti, e maestosi baobab. Davvero, siamo proprio minuscoli di fronte alla natura. Scendiamo ancora verso sud lungo la litoranea orientale. Il traffico scompare, le baraccopoli circondate da lamiere si diradano, il verde è dappertutto, anche se davvero è tutto molto secco. Ci fermiamo nelle piccole spiagge, e nei sempre più minuscoli centri, dove la vita è ferma all’inizio del novecento. Tutto in stato precario, fogne a cielo aperto, abitazioni di muratura puntellate altrimenti si disintegrano. Ogni tanto vedi la bandiera dell’Europa o della Francia e ti chiedi dove hai sbagliato.

Vorrei ispezionare meglio la costa orientale ma non mi fido ad addentrarmi nei vicoli ciechi, per l’amor del cielo, è tutto un “bonjour” ma non si sa mai e non voglio mettere in pericolo la vita di mater, che è già sconvolta così… Vedo l’isolotto bianco in lontananza, so che mi devo accontentare soltanto di questo perché nessuno al mondo ci porterà lì… magari con la gita alla laguna…

Arriviamo alla punta meridionale dell’isola. C’è un centro abitato Kani Keli ma lo passiamo in fretta. Mangiamo in un ristorante il cui nome è La Citronelle. Io di citronelle conosco soltanto una cosa e non di certo un ristorante. Ma è pulito, è per turisti, è all’interno di una struttura di muratura e il terrazzino si getta proprio sul monte Choungui, la cui bizzarra forma ricorda quella di un brufolo che sta per esplodere. Non riesci a distaccare gli occhi. Mangi del pollo al limone e bevi un cocktail analcolico, indovinate a che gusto? Eh, già…

E per digerire ci spiaggiamo al Villaggio Moharé, l’unica struttura davvero turistica di tutta l’isola. Era chiusa per restauro, meglio, così non abbiamo pagato i 20 euri di parcheggio. Ma vi rendete conto? Mi metto in ammollo per due ore in un mare turchese, splendido. Un nuvolone nerissimo guasta per una buona mezz’ora il sole ma poi tutto riprende a colori. Ed è un incanto, davvero.

Esco dall’acqua e scopro i lemuri. Diversi mi saltano sulla capa, mi leccano le orecchie e mi annusano. Non sono intimoriti. Io li guardo in quegli occhi da ipertiroidismo cronico, anche perché non puoi fare altrimenti. Mater tenta di prenderli come se dovesse prendere in mano Jake. Vengono sfamati con bucce di ananas, pane e foglie. Stanno accanto a me, in attesa di passare il tempo. Non gli hai chiesto di farti da compagnia. Sono lì e ti stanno accanto oppure ti saltano sulle spalle. Belli loro, simpatici e carini. Ecco, una cosa che mi mancava della Mayotte.