Nine of you

Ormai che hai superato in anni la misura del guinzaglio che è lungo otto metri, cosa dirti amore mio?

Sei libero, hai conquistato totalmente il mio cuore e so che nessun altro essere vivente ha eugagliato con la sua presenza l’amore incondizionato che provo per te. Ogni anno è sempre più grande, più puro, più autentico. Aveva ragione il Tiziano Ferro: “non me lo so spiegare”.

Ti guardo e ti ammiro perché tu sei me, la parte peggiore e migliore, la mia quotidianità, l’essenza del mio essere. Tu sei ancora me, il mio respiro, il prolungamento di quegli otto metri del guinzaglio. Eppure sei sempre stato te stesso, col tuo carattere caparbio, con la tua infinita dolcezza, con l’umiltà di venire da me quando hai bisogno. Tu sei me, anche quando miagoli, anche quando energicamente sbatti la coda in segno di protesta, anche quando scappi e vuoi il mondo tutto per te.

Nove anni in sintonia, in intimità, di respiri modulati sulla stessa frequenza, di rispetto reciproco, con quel legame indissolubile che ci tiene vicini ma lontani, accanto ma separati.

Conosco il tuo linguaggio, dal miagolio fiacco e poco percepito, al lamento di protesta, un piccolo ruggito che vibra, che sale e ti entra in testa. Non ce n’è per nessuno quando fai così, devo darti attenzione. Ti sono stato vicino sempre, ho controllato il tempo intercorso tra le tue pisciazzate e i tuoi bisogni. E ovviamente questo tempo era tutto tuo, sempre e comunque tuo. Indipendentemente dal meteo, dalle ore della giornata, dalla mia disponibilità e pazienza nel seguirti. Sapevo quando avevi bisogno di me per le tue esigenze fisiologiche, per bere e mangiare. Mi guardavi con disarmante acutezza e dalla semplice posizione di una sola delle tue vibrisse, sapevo se stavi bene, se eri insofferente, se volevi scappare, se volevi che ti lasciassi da solo.

Il tuo essere era la sacralità, il dogma che dovevo accettare, l’inizio della dualità kantiana tra spirito e ragione. Io dovevo essere lì per te e per nessun altro, dovevo guardarti con piglio amorevole anche se non ne eri consapevole. L’amore per te è sempre stato a senso unico, ma alla fine ritornava a me in un processo irreversibile, stramaledettamente energivoro, come il principio della vita che si autogenera, che si riproduce in un determinismo libero.

Tu sei stato questa vita, questo impegno, questo continuo bilancio in perdita, questo dovermi sempre mettere al tuo servizio. Ma il tuo sguardo, quell’infinitesimo azzurro che rischiarava il tuo muso sul mio volto, era incontenibile, era quella vagonata di ossigeno che permetteva di vivere con te ancora per un’altra giornata, per un altro mese, per un altro anno…

E così siamo a nove, so che non sarà per sempre ma comunque tantissimo per me. Ti auguro il meglio per te. Capisco le parole di Adele: “I wish nothing but the best for you, too”.

Ecco, te le dedico, ti auguro che tu possa ricevere sempre il mio amore, che io possa passare le dita tra il tuo pelo morbido, seguendo le sinuosità della schiena, la morbidezza della tua pancia, le asperità dei tuoi artigli, la ruvidezza della tua lingua al contatto con le mie dita.

Nove anni di amore incodizionato. Auguri mio grande Jake.


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