Avevo in mente mille destinazioni, alcune delle quali veramente lontane ma alla fine ho deciso per la turisticissima isola di Rodi. Non chiedetemi il perché, non saprei darvi una ragione valida. È stata una scelta di un momento e un po’ irrazionale. Comunque fino all’ultimo ho avuto il patema d’animo per questo viaggio. Gli incendi in primis, le notizie catastrofiche che arrivavano dai telegiornali e dalle comunicazioni ufficiali dei siti dell’Alpitour e dell’albergo. Ma una settimana prima sembrava fosse tutto sotto controllo. Le minacciose comunicazioni si sono affievolite e lentamente sono comparsi i messaggi di invito, di incoraggiamento, di proseguire nella nostra scelta perché Rodi era di nuovo pronta a darvi il benvenuto.
Così alla mattina presto con l’aereo della Neos, di un azzurro scintillante, già bello pronto sulla bista, siamo partiti dalla pista 35 D. Rullaggio e decollo verso nord. Un’improvvisa virata a sud su Venegono, Saronno. Ho riconosciuto la bassa comasca, la provincia monzese e via lungo tutta la dorsale apenninica dell’Italia. Con la colazione su un vassoio, siamo arrivati sulla BAT province, su Bari e sul salento. La punta dello stivale l’ho mancato per una manciata di chilometri. E improvvisamente la geografia incasinatissima della Grecia con l’isola di Corfu, il peleponneso subito dopo aver intravisto il ponte di Patrasso. Per il resto mi sono perso nell’Egeo, tra la moltitudine di isole sparse nell’azzurro del mare. Ho rinunciato a capire la geografia, ho riconosciuto Rodi inaspettatamente, proprio quando eravamo sulla città. Mi aveva colto di sopresa l’isola. Non potevo vederla, era dall’altra parte dell’aereo.
Rodi, la città, densamente popolata, con il centro riconoscibilissimo e poco dopo il Diagoras, l’aeroporto stretto tra la montagna e il mare. Pochi spazi di manovra. Le pratiche di sbarco sono state minime, come del resto in tutta la Grecia. Tempo di salire sul mastodontico pulman dell’Alpitour che eravamo diretti verso Lindos. Una quarantina di chilometri in un clima di sonnolenta caldazza, la statale percorsa da trattori, motorette, quad, pecorelle e caprette. Un delirio a 30 chilometri all’ora. Da addormentarsi all’istante. E così mi sono svegliato proprio davanti alla bellissima città di Lindos, la Grecia che ti aspetti, quella che non ti delude, le casette bianche raccolte sotto l’acropoli.
Prima di arrivare al Lindos Princess Hotel, che nome altisonante, abbiamo percorso una via crucis le cui stazioni erano hotel con altrettanti nomi altisonanti. Il Royal, la Marina, la Star e non so quale altro nome. Le camere sono pronte, ma devono ancora confermare l’attribuzione. Così veniamo lasciati direttamente al bar della spiaggia dove affondiamo i denti nelle soffice piadine dei gyros. Sperimenterò quanto sia deleterio il refill di bevande gasate…
Possesso delle camere e via in spiaggia. Delusione, non è quella caraibica di spiaggia di borotalco, ma è di sassi, nemmeno tanto fini. Rischi le ginocchia, i malleoli e non so cosa altro. Ma una volta in acqua, nel mare Egeo è tutto un dimenticarsi della fatica e del viaggio.
Alla sera l’Alpitour, in versione internazionale, in collaborazione con l’omonima Satur, spettacolo di canzoni anni ’80. Un classicone ma con respiro davvero internazionale e non da sagra di paese. Interessante.