Finalmente l’auto. Una Renault Clio, almeno credo, nuovissima di pacca, color crema. Ci dirigiamo verso sud. Non aspettavo altro questo momento. Girato il promontorio, quello che stoicamente avevo raggiunto ieri, ecco la devastazione degli incendi. Venti chilometri di bruciato, alberi anneriti, case parzialmente bruciate, spiagge senza più macchia mediterranea. Non hanno aspettato molto. Sono state già piantate delle pianticelle a bordo strada, legate dalle corde, prima che vengano strappate dal vento importante che soffia sull’isola. Viaggiamo su questa strada bruciacchiata per una ventina di chilometri. Tutta una desolazione. Fino alla punta sud dell’isola, quando la strada devia improvvisamente per seguire il percorso del periplo. All’ultimo secondo mi compare il cartello Prasonisi, tutto sbiadito, da interpretare perché la freccia è scolorita. La strada scorre veloce e larga lungo un paesaggio collinare, deserto, con poca vegetazione, per fortuna risparmiata dal violento rogo. Arriviamo all’isolotto di Prasonissi. Mi viene in mente l’isola di Creta. Il paesaggio è sostanzialmente identico. Una lingua di terra unisce l’isola alla terra ferma. Parcheggio l’auto nella vastissima area di sosta e mi incammino lungo la lingua di sabbia. Sì, sabbia fine, impalpabile, che svolazza via e che ti entra direttamente in trachea. Affondi i piedi, lì appoggi entrambi. Vedi i due mari, il Mediterraneo e l’Egeo, non so quale sia l’uno e quale l’altro, uno calmo e l’altro mosso. Uno per gli sport di vento e l’altro sempre di vento ma un po’ di meno. Mi infilo nel mare, senza il timore dei sassi, è tutto soffice, l’acqua cristallina, fresca ma piacevolmente in contrasto con la canicola estiva. Raggiungo l’isoloto, è facile, ce l’hai davanti, il cammino tra il mare e la sabbia è piacevole. Rischi che qualche surfista ti tagli la strada e ti ritrovi con la vela in testa ma non demordo. Inizio a salire la modesta altura da cui si vede tutta l’isola. La Grecia che ti aspetteresti, la Grecia del mare e degli isolotti e del mare azzurissimo. Mi guardo attorno, respiro a pieni polmoni l’aria salmastra e arrivo su in vetta. La tentazione di distruggere le composizioni di sassi messi in equilibrio l’uno sull’altro è così forte ma cerco di resistere al mio impulso di vandalo…
Ritorno al parcheggio con tutta la lentezza, guardando da una parte e dall’altra. Le onde a sinistra e il mare quieto e placido a destra. Nel primo pomeriggio ritorno verso l’albergo costeggiando il periplo occidentale dell’isola, dove il mare è irrequieto regalandomi scorci di tonalità turchesi che mi emozionano. L’isola qui è aspra, selvaggia, non è violentata da complessi alberghieri. Sonnolenti paesucoli scorrono dal finestrino. Case bianche, muretti a secco, campanili e chiesette ortodosse. Arriviamo fino a Monolito, un paesello di per sé insignificante, ma su un altura da dove si vede tutta la parte meridionale di Rodi. Il monolite è il castello arrocato su una roccia, una piccola meteora, bellissima, salda nel tempo e nello spazio. Ammiro la costa frastagliata che si insinua e devia tra promontori e spiaggie. Il sole picchia proprio sulla cucuzza ma il bello della Grecia è anche questo.
Prima di rientrare, ci portiamo per la prima volta a Lindos, il paesello greco che ti aspetti di vedere. Case bianche e l’acropoli. Il resto è un dedalo di viuzze di negozi turisticissimi, di pacotteria, e di gyros. Mater si perde con Laura nei negozi, io scovo in ogni angolo nascoto un micio sopraffatto dalla calura. Sono ben nascosti ma se non stai attento rischi di schiacciare la coda a qualche felino. E poi l’incontro con un somarello, tra i tanti, il quale non ha disdegnato un selfie e mi ha pure snasato. Chissà!, magari puzzavo di sudore ma era così tenero che la nostra foto da selfie era un’invidia unica, proprio da farci un tick tock, ad essere capaci.
Il resto del pomeriggio è la stanzialità dell’all inclusive del beach bar tra una fetta di piza, un gyros, patatine fritte, litrozzi di Fanta. Un giro tra gli ombrelloni e i salvagenti a forma di fenicotteri. Uno morente giaceva a bordo piscina. E alla sera il cocktail di benvenuto di cui ho scritto un post e che mi ha emozionato non tanto per il pantagruelico aperitivo ma per la bellissima poesia di Gio Evans e poi per i discorsi sulla riapertura, sul rischio di perdere il lavoro, dopo uno stop di due settimane. Nessuno è stato mandato via ed erano tutti lì a festeggiare e quel cincin col calice di prosecco aveva più valore di altri saluti di benvenuto.
Alla sera altro classicone Grease e The Greatest Show. Molto bello e animatori molto bravi. Devo ammetterlo.