Quando sono arrivato al Castaway Lodge, davvero pensavo a quanto fosse azzeccato il nome dell’albergo. Mi sentivo un naufrago, che andava alla deriva. È arrivato il finimondo appena messo piede nella camera. Pioggia a secchiate come non me ne ricordavo da secoli. Cinque minuti di diluvio universale, e poi il sole disegnava di fronte a me, sul mare, un bellissimo arcobaleno. Ma come? Mi guardavo attorno, la strada era un fiume, il fango si riversava nei canali di scolo. E in cinque minuti nulla? Tempo di fare la spesa al supermercatino proprio dall’altra parte della strada che mi sono rifugiato nel mio lodge, di fronte alla piscina. Sono andato a vedere le tartarughe nel giardino. Le ho sfamate allungando dei ciuffi di erba e loro gradivano. Non avevo ancora voglia di chiudermi in camera ma per forza di cose sono stato costretto perché un altro scroscio è venuto dal cielo, improvvisamente. Una coppietta ha deciso di farsi il bagno in piscina proprio in quel momento. Li guardavo con disprezzo. C’era acqua dappertutto e loro incuranti facevano nuoto in piscina. In realtà era il preludio del ciupaciupa che avrebbero consumato nella loro stanza più tardi.
Dopo aver mangiato i panini in camera, mi sono lasciato andare a un sonno ristoratore per tutta la notte. E ci voleva davvero. Avrei voluto alzarmi alle 6 per vedere l’alba ma proprio non ce l’ho fatta. Il sole era bello in alto quando ho aperto la porta. Poco importa. Mi sono portato a sud questa volta. La prima tappa Anse Royale, la bellissima spiaggia dove cinque anni prima, avevo lasciato mater a discutere con delle tizie traccagnotte della polizia. La spiaggia era già affollata di donne francesi, russe, dal rasta che ti affittava la tavola per pagaiare. Mi ha guardato e si è girato dall’altra parte. Non si è nemmeno degnato di chiedermi “do you want to try?”, come lo aveva detto a 36 denti alle baldracche russe. Poco male… Mi sono fermato sotto gli alberi, perché il sole era assolutamente improponibile. Dopo un’ora sono scappato, mi sono fermato al palazzo dell’Università delle Seychelles, dove c’era una vivace vita sociale. Mi sono fiondato nella boulangerie per un pezzo di torta, ma non facevano caffè, tanto meno cappuccini. Solo acqua. E vai di evian. Mi sono seduto nei giardinetti, all’ombra della statua di Platone…
Il caldo era insopportabile, per non parlare dell’umidità. Sembrava davvero di respirare litri d’acqua. Mi sono portato così al Jardin du Roi, un posto bucolico, con verde e piante di tutti i tipi. Speravo in una frescura, ma riponevo troppe speranze. Nonostante tutto, la fatica per arrivarci, era un posto incantato. Bellissimo. Alberi ovunque, piccioni, galline e una caterva di uccellini. Ho percorso tutti i sentieri ma non mi concentravo sulle piante, numerate e con tanto di didascalie. Non mi interessava molto, cercavo solo frescura che non c’era. Ma il paesaggio era incantevole. Sono arrivato su in cima, ormai completamente in ammollo, col fiatone, le ginocchia spezzate della quantità industriale di gradini, ma sono sopravvissuto. Sono sceso fino all’ingresso. Ad ogni cascatella, che faceva molto badedas, mi ci infilavo sotto per sentire qualcosa di fresco.
Alle 14, il tempo era velato, sono sceso con la mia Yunday, rigorosamente in prima, col piede costantemente sul freno, già pensavo di annegare nell’oceano ma sono arrivato a valle miracolosamente indenne. Appena ho visto un baretto, un chiringuito da spiaggia, mi sono scofanato un mega paninazzo. Mi trovavo accanto alla caserma dei Vigili del Fuoco di Anse Royale. Mi sono seduto sotto l’ombrellone, al suono di musica raggae, i creoli che si fermavano, facevano casino, salutavano la Minny, il ragazzetto coi rasta mi chiedeva chi fossi, da dove venissi, voleva che mi sedessi al tavolo della famigliola allargata. Anche no, grazie.
Il giro si è concluso andando verso la punta meridionale dell’isola, una deviazione improvvisa, togliendomi dall’unica strada principale. Google mi ha portato alla spiaggia della Prigione. Sì perché c’era un istituto penitenziario, completamente isolato dal resto dell’isola. La strada… che strada!, era un tratturo a pendenza oltre il 15%. Ho chiesto aiuto ancora una volta ai freni della Yundai, le cui pastiglie si sono paurosamente assottigliate ma chi se me frega. Sono arrivato a questa spiaggia stupenderrima. Sì qualche turista, ma brutti ceffi creoli e guardie della polizia penitenziaria, con tanto di pistola d’ordinanza e le manette nei taschini. Era tutto così surreale, circondato dalla foresta pluviale, una spiaggia a semiluna, completamente nascosta, il fiume in piena che si gettava nel mare. Il paradiso o l’inferno. Apocalypse Now. Però era tutto legale, e non dovevo preoccuparmi di niente. Insomma un po’ di ansia me l’ha messa. Mi sono gettato nel mare, pochi secondi prima ancora di abbrustolirmi di nuovo…