Dopo la gitarella alla Prison Beach, da cui sono uscito indenne, sono tornato verso l’albergo. A dire il vero, volevo rimanere in qualche spiaggia fino al tramonto, ma poi mi sarei dovuto fare la strada al buio e qui alle Seychelles è davvero una cosa mistica, potrebbero rapirti gli alieni. Per cui sono stato saggio e ho scollinato la parte meridionale dell’isola e in poco tempo mi sono ritrovato all’albergo. Però prima mi sono fermato alla spiaggia di Anse Royale dove, malgrado non si vedesse il tramonto, il tripudio di nuvolaglie arrossate dal sole era un qualcosa di sublime. L’apocalisse. Ero affascinato dal clima incerto, dal tragico ambiente. Mi aspettavo musica dei Carmina Burana ed era perfetto per la fine del mondo. Ero con lo sguardo all’insù e non riuscivo a distogliere lo sguardo dal cielo…
Ormai completamente al buio ho fatto quei pochissimi chilometri che mancavano all’albergo. Sembrava che dovesse diluviare, invece neanche mezza goccia.
Invece oggi giornata eccezionale, senza grossa umidità, il sole però picchiava di brutto. Cielo terso e il verde che più verde… Sono uscito alle 8,30. Vado all’autovettura e questa non si accende, il motore non fa nessun rumore. Tragedia, avevo lasciato le luci accese e queste mica si spengono. Così la batteria era fully down. Mando un timido messaggio al renter. Mi cazzia subito: hai lasciato le luci accese? Io di riflesso gli mando un categorico no, ma alla fine mi sono sentito uno stupido ad aver detto una bugia. Gli riamando un altro messaggio, maybe, i don’t know. Insomma, mi manda qualcuno ma non prima di due ore. Va bene, remissivo a novanta gradi, con la coda di paglia. Mi trovo pur sempre in paradiso e il mio albergo, che poi è un bed senza breakfast, è immerso in un giardino lussureggiante. Vado a salutare le tartarughe. Una di queste si lascia rinfrescare dal giardiniere che gli spruzza litri di acqua. Sembra che si diverta un mondo. Poi passeggio al bordo della microscopica piscina. Mi faccio la barba, sistemo alcune al computer. E, infine, mi dondolo sulla chiase longue del giardino. Ci sono tanti micetti ma non mi degnano di uno sguardo. Nemmeno il cane. Sono tutti al minimo per risparmiare energia. Non c’è un filo di vento.
Arrivano due ragazzi, belli sorridenti con un macchinone bianco. Mi salutano come se fossi loro fratello. Non si impietosiscono dal decadimento del sottoscritto. Wuella bro, lo so che me lo diranno. Invece si armano di cacciaviti, e non so quali altri utensili e fanno un autotrapianto di batterie. Quella defunta la mettono sulla loro macchina e quella del macchinone la montano sulla macchina sfigata. Non so perché, pensavo che usassero il booster, i fili. Non so, alla fine mi danno il macchinone e loro si riprendo la moribonda. Mi stavo dimenticando le mutande e la maglietta che erano rimaste dal giorno dell’arrivo in bella mostra sul sedile posteriore, quando in fretta e furia mi ero cambiato mettendomi in pantaloncini. Volevo sprofondare dalla vergogna. Ma questi belli sorridenti, do not worry, no problem. Parlavano in sincrono. Mi aspettavo che mettessero in atto una canzone rap… Mi sento in dovere di stringer loro le mani ma li ho presi di sorpresa. Raga, i giovani mica si stringono le mani…
Poco dopo mi arriva il messaggio del renter. Tutto ok. Ma certo, grazie, grazie, ripetuto due volte e in italiano grazie mille. Ho aggiunto una faccina sorridente. Quella con il bacio o col cuoricino mi sembrava fuori luogo. Dovevo scusarmi per la minchiata appena fatta. E lui mi risponde con un’altrettanta faccina sorridente. Bene, anche questa è andata.
Mi trovo questo scatolone gigantesco, più performante, con l’autoradio funzionante, ovviamente ruggine dappertutto. E parto alla scoperta della costa occidentale dell’isola. È tutto un rincorrersi di baie, baiette, mari turchesi, massi neri da rimanere senza fiato. Percorro lentissimamente tutta la linea costiera fino alla fine della strada. Il periplo non si consuma attorno all’isola ma si interrompe a nord. Prima della deviazione metto l’auto in una rientranza, perpendicolare al senso della strada.
Dovevo tornare indietro. Così esco di sedere, occupando le due corsie. Sto attento, mi guardo a destra e a sinistra. Approfitto di una rientranza dall’altra parte della carreggiata. Effettuo la manovra con lentezza esasperante. C’è un cordolo che non so bene dove si infili… A un certo punto una macchina mi strombazza, passa davanti a me, mi spavento, e mando a quel paese il guidatore. Guardo meglio sulla fiancata, POLICE. Usti. Mi interrompo di colpo, la frizione mi muore sotto il piede. l’auto dà un gorgoglio e rimango come un deficiente inebetito. La poliziotta traccagnotta e il poliziotto da parte mi mandano a fanculo, questo l’ho capito bene. Ero già pronto alle manette, alla gattabuia, a una multa salatissima. Invece no. Passano strombazzando a velocità folle… e io rimango lì. Non sapevo cosa fare. Ero terrorizzato. Se anche la polizia ti manda a quel paese e guida di merda, anziché tutelarmi magari fermandosi per facilitare l’immissione in carreggiata -me lo sarei aspettato da qualsiasi polizia del mondo- allora davvero guidare qui è un atto di fede, un esperienza mistica, un respiro di incenso.
Mi fermo al primo take away, pollo bruciato al barbeque e delle chips. Vanno più che bene. E così scollino la parte più montuosa dell’isola. Che mi ricordavo bene, fatta con Mater con il suo terrore negli occhi per le montagne. Il cielo azzurrissimo, l’isola di Mahé nella sua migliore foggia, si vedono sotto i miei piedi. Mi fermo alla Tea House, un museo sull’unica piantagione di tè dell’isola. Berne uno con una temperatura di 40 gradi non mi sembrava il caso. Mi prendo invece un milk shake. Ci vuole, dopo tutto quello che ho passato. Mi fermo un po’ nella foresta e poi scendo in picchiata a Victoria che mi aspetta solare, che guarda l’oceano. Vedo il murales dipinto per il Covid. Questi eroi in tutto il mondo!
Arrivo in centro senza accorgermi. Entro nel tempio indiano. Ci voleva questo momento di calma, di incenso, di pavimenti lucidi. Tutti gli dei che ti guardavano. Il cibo e la frutta preparata nelle ceste. Incredibile. Non mi sono mai sentito così vicino all’India. Tutti mi sorridevano. Mi sentivo quasi commosso, peccato per il fumo dell’incenso che mi stava intasando ogni alveolo…